"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

da Osservatorio VanThuan, 4 aprile 2020, di Stefano Fontana

“Una cattiva filosofia produce una cattiva teologia, e questa porta la Chiesa fuori strada"

Non aveva dubbi Monsignor Antonio Livi che aveva impegnato tutta la sua vita di filosofo e di teologo per spiegare e difendere la recta ratio, la verità naturale, la filosofia spontanea dello spirito umano, senza della quale non è possibile la recta fides.
Aveva ben chiaro che la fede non può essere intesa solo come atto puramente soggettivo (=fides qua), ma soprattutto anche come conoscenza delle verità salvifiche rivelate (=fides quae).
La teologia cattolica, insegna Livi, sta perdendo il riferimento ad un sistema naturale di pensiero, senza del quale essa si riduce a generica letteratura religiosa, a vaga esortazione parenetica, ad assimilazione mimetica e compiaciuta del linguaggio del mondo.
Senza la consapevolezza critica della struttura di verità del proprio pensiero, la fede cristiana cessa di essere un autentico sapere, non si comunica a tutti gli uomini, non custodisce i dogmi sempre nello stesso senso, non li difende dalle eresie.
Sulla scia del suo maestro Gilson, Livi ha denunciato tutti i tentativi moderni - necessariamente confluenti nel modernismo - di negare il realismo filosofico, sapendo che, se si concede anche solo una briciola di vantaggio all'inizio, la perdita sarà - prima o poi - comunque totale.
La stessa battaglia che Gilson aveva fieramente intrapreso contro la scuola di Lovanio, negli anni Trenta del XIX secolo.
Questa battaglia, Livi l’ha affrontata contro i neomeodernisti del nostro tempo, denunciandone il razionalismo di origine protestantica, ormai dilagante nella teologia cattolica, e che anima la protestantizzazione del cattolicesimo.
Protestantizzazione sotto gli occhi di tutti, a patto di aver la voglia e l’onestà intellettuale di guardare.
La sua ‘filosofia del senso comune’, eliminando ogni concessione al dubbio cartesiano ed al criticismo kantiano, impedisce sul nascere qualsiasi accordo tra realismo metafisico e principi della filosofia moderna, liquidando come inconsistente e dannosa la teologia ufficialmente professata in moltissimi centri accademici cattolici, comprese le università pontificie.
Egli fronteggia apertamente i più ‘acclamati’ maestri del pensiero cattolico oggi in voga, tanto inconsistenti, quanto vezzeggiati dal nuovo establishment ecclesiastico.
Nel suo volume, Vera e falsa teologia, egli presentò un elenco di teologi, poi più volte aggiornato, che stravolgevano la teologia cattolica e, ciò nonostante, erano insigniti al merito da parte dell’autorità ecclesiastica.
Nei suoi ultimi editoriali su Fides Catholica, aveva denunciato la logica hegeliana - espressa da Rahner e Kasper, solo per citarne alcuni -penetrata nello stesso magistero: un certo insegnamento dottrinale o morale è vero, ma poi i ‘tempi cambiano’, e bisogna ‘riconsiderarlo’.
In poche parole: la teologia nasce dell’esistenza e, come è mutevole essa, mutevole ed aggiustabile su di essa deve essere la teologia, il nostro stesso concetto di Fede.
Livi, con Gilson, Garrigou-Lagrange, Fabro è stato uno dei grandi filosofi della scuola romana, la cui ricchezza è stata rifiutata e dimenticata.
Ma senza che nessuno ci sappia dire un perché.
Rifiutata perché ‘non più attuale’?
Ma, rifiutare una verità perché ‘non attuale’, significa esattamente rifiutarla senza un perché.
Del resto, tuttavia, proprio ciò ne evidenzia probabilmente la grandezza.
UNA TALE GRANDEZZA PER CUI, RISPETTO AD ESSA, NESSUN PERCHE’ È SUFFICIENTE A MOTIVARNE IL RIFIUTO”.