"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

La strada è sempre quella

La strada è sempre quella: quella che va a Palazzo di Giustizia.
Ci vado da un po’ oramai.
Tutto Febbraio, con intervallo di Marzo/Aprile e ripresa oggi 6 Maggio.

Arrivo in corso XXII marzo tagliando da P.zza Fontana. Già lì il senso drammatico dell’ambiguità della cosiddetta ‘giustizia’, di cui vado a sentire/vivere, si para dinnanzi con le due lapidi a Pinelli piantate fianco a fianco nell’aiuola antistante il Commissariato: due lapidi e due diversi, anzi contrapposti, modi di commemorare lo stesso medesimo fatto: la morte di un uomo, l’anarchico Pinelli appunto.
Una lapide afferma che Pinelli è morto per infortunio, l’altra che è stato assassinato.
Un po' di urto me lo genera questa doppia lapide, perché, se su una morte accaduta ormai così tanto tempo fa, non si è ancora raggiunta una memoria condivisa  e si ostenta una manicheissima visione dello stesso comune passato, cosa si può sperare per il presente?
Il nostro ma soprattutto, in quanto persona direttamente coinvolta, il MIO presente.
E si entra in Tribunale. Si cerca l’aula, ci si siede accanto a un nero isolato: tutti gli altri stanno sulla panca di fronte. E poi  questi ‘altri’ si rivelano essere nient’altro che cronisti, cineasti delle innumerevoli TV che si disputeranno  un cm quadrato a testa di etere su cui impressionare coi nostri volti le loro reti. Sanno loro prima di me, che ne sono implicata direttamente , che quella è l’aula sbagliata e , indi, ci si sposta velocemente alla nuova destinazione.
Si entra. Cioè io entro.
Loro devono star fuori e scoprono, così, che quella vicino al negretto poteva essere un ghiotto boccone da dare in pasto al popolo bue da loro abituato a divorare facce, nomi, fatti senza speciali distinzioni e ragioni se non quelle di essere finiti acchiappati dai loro obiettivi mediatici.
Dentro aspetto e poi si ricomincia: stessa sceneggiatura dell’Udienza Preliminare. Difensori che si impegnano a dimostrare la non cogenza dell’impianto accusatorio e processuale così com’è concepito dai PM e PM che si ingegnano a dimostrare la perfezione della loro architettura colpevolista. Intanto che parlano i primi, ridacchiano e si lanciano occhiate ‘complici’ i secondi, intanto che parlano i secondi si intrattengono tra loro i primi.
E io mi alzo e me ne vado. Noia. Per oggi tutte queste ore di noia possono bastare.