"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

8 Novembre 2013

Da allora –quando mi si spalancava un orizzonte da me creduto infinito per aver incontrato quelli di Gioventù Studentesca nella mia cittadina di provincia-a oggi, seduta qui nel corridoio di palazzo di Giustizia di Milano, sulla scomoda panca antistante l’ufficio del Pubblico ministero che mi accusa di riciclaggio….quanti anni sono passati…quanta acqua sotto i ponti!
Eppure perché a me sembra che sia trascorso solo un attimo?

Dove sono stata tutto questo tempo ,tra il giorno in cui avevo conosciuto e dato il via alle più rosee speranze di ciellina DOC il primo giorno del ginnasio, e i carrelli carichi di scartafacci –le cose che di noi privati cittadini- buoni o cattivi che ci considerino- gli impiegati del ‘castello’- trascinano avanti e indietro sotto il naso dei disgraziati che ci capitano nei lunghi corridoi della Procura?
Tante cose mi tornano in mente tutte all’improvviso e tutte fuori luogo considerato il momento e l’occasione in cui mi trovo…
Un giorno per esempio , venne il 1975 e noi ci ritrovammo diciottenni e col diritto di voto.
Essere ‘cristiano’ , allora, non voleva dire semplicemente niente: si stava l bar davanti alla Stazione di Chiavari e noi freschi di diritto al voto si ascoltava, riuniti intorno a un a Coca Cola, i ‘nonni ’che ci davano le prime dritte del politically correct che sarebbe straripato negli anni a venire.
Votare! E chi si va a votare? Ci chiedevamo con manzoniana perplessità, Carneade e chi era costui?, ma subito il leader del Movimento degli studenti di provincia  quali noi eravamo sbaragliava le nubi del dubbio all’orizzonte, sciorinando il ragionamento più evidentemente ‘saggio’ che si potesse fare: Come per chi votare? Ma è facile! prendiamola per esclusione! Primo: il PLI? Ma non facciamoci ridere da soli.
Secondo? Il PRI: ma stiamo scherzando? Terzo la DC : questa non si discute nemmeno: è fuori da ogni ragionevole dubbio che è NO. Quarto: il PCI: potrebbe , ma non è che siano così ganzi. Ultimo chi rimane: il PSDUP, ovvio no? E’ quello è il partito  che si va a votare”.
Erano bei tempi, quelli in cui le certezze erano così a buon mercato. Peccato che non eravamo, almeno alcuni- tra cui io-, così certi che fossero certezze.
Anzi, dirò la verità, mi sembrava come ebbi a scrivere esattamente 37 anni dopo, paradossalmente, da un altro bar-si vede che la mente mi si illumina in ambienti con tavolini, brioches e cappuccini…- che i cristiani son sempre al solito punto di non stimarsi abbastanza capaci di inventarsi niente. Stanno sempre a recitar la parte di quelli affetti da complesso di inferiorità e sempre bisognosi del tipo politicamente corretto di turno che ‘ci sta dentro un casino ‘ sia per votare che per godersi cene e divertimenti.
Io a quei tempi in effetti le certezze le cercavo eccome, ma dai discorsi di bar sia pure tenuti da compagni di strada così autorevoli non me ne venivano per niente. Mi venivano ancora nientemeno che dalla ‘criticatissima’ madre che la sorte mi aveva assegnato.
Io la sento ancora perfettamente quando mi dice: ”Non si accetta troppo di niente da nessuno. Nemmeno dal miglior amico. Perché così vorrebbe dire essere obbligati con lui”: La sentivo nel bar di 37 anni dopo quando scrivevo , quasi sotto sua dettatura, la mia lettera al Corriere. Mi tremavano le mani ed ero piena di esitazione. Ma mia mamma imperiosa ripeteva: ”Non si accetta….” E così, mentre pensavo al marito infilato in una cella stretta e squallida perché non aveva avuto nessuna mamma certamente tipo la mia a ripetergli certe cose e che mi stava trascinando nella vergogna di essere diventata una riciclatrice, ecco che la mano correva veloce sul foglio e guai a disobbedire alla mamma!
La mamma mi ha spinto quella mattina del 18 aprile. Scrivevo anche per lei. In una specie di psicodramma  fuori dal tempo nella mia mente si accavallava l’immagine del  mio verduraio, che aveva certamente letto dell’arresto di mio marito per cose non proprio ideali, unitamente  alla voce di mia madre come colonna sonora dell’insieme abbastanza psichedelico a dire il vero. Così ho scritto…
Ho scritto di me, di come ero a 16 anni e di cosa mi è successo dopo non lo so, come non so più perché dovessi scappare tallonata da giornalisti e scoopettari vari che da un momento all’altro volevano tutti sentire qualcosa da me, di me. Ma io era anni e anni che parlavo. Solo che non c’era il microfono sintonizzato.