"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Notifica secondo procedimento penale 28 ottobre 2014

LETTERA MAI SPEDITA PER IL GIORNALE.

Quand’ero bambina, un po’ di tempo fa, pensavo che Bagdad fosse tanto lontana…
Bagdad sta per misterioso Oriente ,tappeti volanti, meravigliosi occhi neri e  vellutati che spuntano dietro veli svolazzanti  nonché profumi intensi di gelsomino notturno…

Crescendo, tutto questo mistero si è un po’ ridimensionato,  e , soprattutto, le distanze si sono accorciate. Per me ,nata e cresciuta nell'epoca delle rivendicazioni femministe e egualitariste , col passare svelto degli anni, andare in giro velata ha perso un po’ del suo fascino,  bisogna ammetterlo. E pure l’idea di distanza geografica si è ridimensionata: a Milano, grande megalopoli plurietnica , se sali su un tram che va verso Niguarda, per esempio, può capitare , non capendo una sola parola di quelle che la gente si scambia attorno a te, di non capire improvvisamente troppo bene se siamo nel cuore dell’Europa o nel paese di Aladino delle fiabe da bambina.
Però è questione di un attimo e le nostre ‘rassicuranti’ certezze, figlie di tante illuminate battaglie tornano a occupare il loro momentaneamente spiazzato posto.
Quello che non avrei mai creduto di dover scoprire è  il fatto che, non  è  solo viaggiando sul tram di periferia  , che ti può venire in mente che Bagdad non è così lontana come quando leggevi le fiabe con la nonna da bambina. Ad una normale cittadina può accadere di scoprire che talora Bagdad, ovvero determinate sfumature nel modo di concepire le relazioni interpersonali, per così dire tinteggiate di stili ‘orientaleggianti’, si trovi anche in pieno centro di Milano. Per essere precisi,  annidata nientemeno che all'interno di  Palazzo di Giustizia.
La spiazzante scoperta è accaduta così: in piedi, in mezzo al corridoio di casa con in mano una intimazione della Procura a recarmi all'udienza preliminare del mio secondo rinvio a giudizio in due anni.
Sì, senz'altro la cosa sconvolgente avrebbe dovuto essere, appunto, il secondo rinvio a giudizio in due anni. Ne convengo. Ma siccome ho vissuto 57 anni di felicemente  piatta ed incolore esistenza routinaria, devo dire che dal primo rinvio, datato 12 febbraio 2012 , in cui mi sono resa conto che noia fosse stata la mia vita precedente senza mai un processo, a questo 28 Ottobre 2014, in cui ,finalmente,  me ne veniva notificato un altro, molte cose erano cambiate. Avevo smesso di pensare che se uno si dedica alle cose oneste  in cui crede e le adempie con rigore, poi il mondo sia lì a  noiosamente batterti le mani e dirti ‘brava’. Devo dire che ancorata a vecchi stereotipi come ero, un rinvio a giudizio  ha avuto la catartica funzione di rimuovere le cellule morte dalla mia anima, esattamente come un peeling le rimuove  dalla schiena. Un secondo rinvio non poteva che smuoverne altrettante. Stante il corollario ,un po’ ostico da accettare in tempi di spread così elevato, che ogni rinvio è una parcella d’avvocato in più.
Quello quindi  che mi lasciava totalmente basita è che in questo nuovo rinvio-d’un tratto- mi sembrava di stare sul tram che va in periferia o , direttamente, in Oriente. Ma non  a Bagdad, piuttosto  in un qualche paese pashtun sperso sulle impervie alture afghane.  Vedevo infatti che, come imputata, non avevo avuto  diritto ad altra generalità, accanto al mio  nome e cognome, che quella di “moglie di…”
Cioè io, quella che aveva compiuto arditamente il misfatto per cui le era intimato solennemente di comparire dinnanzi al giudice, non era nient’altro che una per definire la quale occorreva specificare di chi fosse moglie.
Rapidamente ho dato allora una scorsa agli altri nomi dei coimputati per verificare se a ogni altro imputato del procedimento fosse stata riservato lo stesso ‘riguardo’. Macché : tutti rigorosamente con il loro bel nome e cognome e- a fianco-  la loro professione!
E dunque?
Qual era il problema a registrare anche me con la mia professione??
Forse la mia professione non si poteva dire…era una professione evidentemente sconcia per la Procura di Milano: io sono una…casalinga!
Ebbene sì: ho letto, ho scritto, ho una laurea, ma non ho mai voluto ostinatamente essere altro che una casalinga.
E quello che è bello , è che ne sono felice e orgogliosissima.
Tutto quello che ho fatto spessissimo al di fuori delle mura domestiche, e non è poco, non ha mai spostato di una virgola la mia qualifica principale: mamma e casalinga. E ora in quattro e quattr'otto la Procura di Milano mi priva del titolo  di quello che sono e che ho fatto in 33 lunghi anni di matrimonio, cioè più della metà della mia vita?
Non potevo non chiedermi:  perché?
Perché, se i miei coimputati hanno diritto alla loro qualifica professionale a fianco del loro nome e cognome, io non posso fregiarmi della qualifica della mia professione di  casalinga?
Un dubbio mi sorge l’istante successivo a quello della lettura del rinvio a giudizio là in piedi nel corridoio. Un dubbio che , forse, aiuta a non sentirsi proprio sul tram che va in periferia in mezzo a mondi sconosciuti. Un dubbio che, però, non allarga molto il cuore della cittadina media fiduciosa nello stato di diritto e che è cresciuta studiando e leggendo Rousseau, per esempio.
E cioè ,che chiamarmi per quello che sono,  casalinga, possa smontare un po’ l’accusa fosca ( è pur sempre di un ‘accusa che si parla quando si rinvia una a giudizio) che tutto il malloppo, convocandomi a processo, mi lancia. Mi spiego:  nella fattispecie mi si accusa di essere l’abile tessitrice di ‘raggiri ed artifizi’ (sic) che hanno distratto dai loro doveri un intero consiglio di Amministrazione formato da 7/10   persone-le quali, tra l’altro, non  ho mai incontrate, mai chiamate al telefono, mai fatte oggetto di riti woodoo per condizionarle, (soprattutto perché nemmeno sapevo che esistessero fino al momento del mio  rinvio a giudizio). –Potrebbe quindi essere, ripeto ‘potrebbe essere’ , che qualcuno in Procura di Milano ritenga che la qualifica di ‘casalinga’ avrebbe sminuito la truculenza che una corruttrice seria  debba avere.
Mi riesce ostico però credere a questa ingiusta svalutazione della categoria a cui appartengo  ,e,  come ho già detto, con grande orgoglio: le casalinghe.
Sappiamo tutti che la casalinga ha delle doti nemmeno poi tanto nascoste, di seduzione e di capacità di attrarre ai suoi voleri che non hanno nulla da invidiare alle solite banalissime veline, per esempio. La seduzione di un brasato non è cosa che tutte le ragazzotte scosciate di oggi possano sfoderare, tanto per cominciare! E interi Consigli di Amministrazione di enti più o meno pubblici, sono pronti a qualunque atto incontrollato pur di vedere come risciacqua i piatti  una casalinga inciabattata!
Non è politicamente corretto, in un mondo dove a tutti viene riservato il diritto di rubare, mistificare, corrompere e quant'altro, negarlo alle casalinghe!
Ma , ulteriore brivido che mi ha colto, là in mezzo alla mia casa e ai miei cari libri e libroni che fanno benissimo il paio con la scelta casalinga ( in quanto nessuno ha mai detto che dedicarsi alla famiglia coincida con la rinuncia a pensare e studiare)!
Ecco che…mi piglia il pensiero della Riforma del Codice di Procedura Penale…Sì quello che  il ministro Vassalli rivoluzionò nell'88…Non ci sarà per caso qualche ‘collusione’ tra la negazione del ruolo di casalinga e l’accusa dell'artifizio e del raggiro che mi viene rivolta, sulla base  del fatto che, da quell'anno in poi, essere PM coincide con lo svolgere direttamente le indagini? Queste due attività precedentemente divise tra di loro lasciavano a degli ‘investigatori’ (polizia, carabinieri, finanza)cresciuti ed educati a investigare, la responsabilità di accumulare le prove. Forse dovendo intestarsi le indagini, il metodo di chi investigatore, per sua deliberata scelta e volontà non è, può portare ad alcune lacune e sviste. La svista di non notare il diritto di poter essere perseguite a termini di legge anche per le casalinghe e la lacuna di spiegar loro  chiaramente perché. Pensando che essere “ moglie di …”, ipso facto, risparmia l’onere di dirti chiaramente cosa hai fatto