"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

A quella di stamattina presto, la primissima della domenica di Pasqua, il sacerdote è partito in quarta col Vangelo sbagliato.
Cioè con i discepoli di Emmaus.
Saltando in toto la scoperta del sepolcro vuoto, la sorpresa delle pie donne, la corsa di Giovanni e Pietro, ecce cc.
Per fortuna ad un certo momento si è ripigliato e si è interrotto.
Ha scartabellato un po’, ed è iniziata la narrazione corretta, quella più stupefacente di tutta la storia umana: un morto che risorge!
Narro questo piccolo episodio per sconforto.
Uno sconforto che devo sostenere anche dinnanzi a molte altre ‘deviazioni’ e ‘compensazioni’ dei fatti puri e crudi che comunque quotidianamente dobbiamo affrontare.
In questo caso, che vede la comunità cristiana celebrarlo una sola volta all’anno, quello che mancava era la consapevolezza appunto di stare narrando IL fatto unico da narrare in tutto l’anno, quello cioè eccezionale a tutti i livelli.
Ma come considerare questo un fatto eccezionale se con gli effetti speciali dei media vari siamo subissati di scariche adrenaliniche molto più consistenti di quella che viene da un racconto ripetuto ormai da duemila anni?
Lo stesso sacerdote dà l’incipit alla sua omelia dicendo:” Anche se capisco che abbiamo dei dubbi a credere vero questo che è successo…”  E via con parole incoraggianti sulle nostre titubanze e fardelli vari da portare.
Ecco cos’è la Chiesa, mi sono detta: una comunità terapeutica.
(Nel migliore dei casi, s’intende).
Per celebrare una Pasqua, manca una Pasqua, tutto lì.
Non esiste un contesto dentro cui parlare di Pasqua sia più sensato che parlare dell’Isola dei famosi.
Il contesto in realtà c’è, ma bravo chi lo vede… è la umana condizione di buio e confusione che anela dalla notte dei tempi ad una luce, una Luce vera che illumina le tenebre.
Ma che le Tenebre non hanno ricevuto.
Il contesto è la capacità di far spazio la necessità di mettersi a nudo davanti a questa Luce e voglia di uscire dalle Tenebre che tutta una Quaresima, ormai vuota del minimo aspetto di mortificazione e sacrificio, dovrebbe aiutarci a riprendere in mano.
Il contesto non è guardare a Colui che hanno trafitto come ad un accumulo di dolori e sconfitte che noi ci si possa consolare delle nostre.
Il contesto è che, seguendo questa Luce, il mondo ha cambiato stili e modi di vivere. Ed è scaturito il cosiddetto ‘progresso’.
Ma no, la Chiesa non sa se valga la pena soffermarsi su questi aspetti se non per ‘curare’ i depressi.
Ripensando ai riti e miti contenitori, come pure ai produttori di questi riti/miti contenitori ad uso dell’essere umano che si liquefa ogni giorno di più, non ho trovato di meglio che la discussione critica di uno psichiatra.
Egli dedica la sua attenzione ai contenitori ‘dedicati’, quelli dove chi meno fortunato di noi, va a chiedere un ricovero.
Ma, riandando all’Alleluja malinconicamente e meccanicamente sussurrato stamattina, quell’Alleluja che per quaranta lunghissimi giorni non è stato possibile cantare, a quel Gloria - anch’esso si è dovuto liturgicamente tacere - e che oggi zampilla nel cosmo intero, il tutto senza nemmeno un suono di campana, non è cosa totalmente peregrina il paragone con la non-zona: cioè la casa di ‘cura’.
“Davanti alle innumerevoli sfide della nostra esistenza, sempre, il vero compito è quello di non imbozzolarsi in involucri rassicuranti e autoreferenziali.
Quello che conta è saper navigare soprattutto controvento, anche quando la spinta ‘ideale’, propulsiva quanto mai all’inizio di un’altra fase storica, si affievolisce.
Quando oggi le persone si accostano a gruppi e/o movimenti, normalmente hanno problemi di identità: questo è il risvolto ed il costo sociale della società del benessere e dei consumi.
A misura che ci si focalizza sulla ‘cura’, cioè sul fornire una tutela al bisogno di autodifesa, per quanto legittimo anche se non dichiarato, senza permettere a chi si fa avanti di recuperare veramente le proprie qualità che sono sia morali che schiettamente personali, la sostanza di tutto diviene puramente difensiva.
Allora un amico debole è il nostro alleato per sentirci forti.
Noi che per primi non siamo per nulla convinti di esserlo.
Allora la carità, l’aiuto che diamo sotto questo nome, diventa sostegno inconsapevole al nostro desiderio di onnipotenza.
Un’idea trasmessa da una persona ad un’altra, nel tempo, può cambiare il suo aspetto originario di suggerimento e di pensiero dell’Io, nella formazione di un’area di ‘moralità’ fissa, il Super –Io della generazione successiva”.
Ciò che nasceva come valutazione spontanea, evidenza di un giudizio cogente con la realtà sperimentata, diviene rigida pratica standard, svuotata di pensiero, cioè di reale capacità di ‘giudizio’.
Le abituali competenze diventano espressione di un ‘manuale’ e il ricordo del ‘perché’ svanisce.
La proposta non essendo più fondata su elementi di realtà diventa un rituale contenitore di soli automatismi”.
Le pratiche utili una volta, ora diventano delle credenze che intralciano la possibilità di essere creativi e di trovare nuove soluzioni ai problemi che via via si manifestano e differenziano” (Tom Main).
E la cosiddetta autorità ha il semplice ruolo di ‘sollevare’ dai problemi che ognuno incontra, magari ‘incoraggiando’ con le buone parole i fedeli a Messa, ma questo - in realtà - non è rassicurante affatto.