"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Il lungo percorso quaresimale che - anche se in maniera così soft da dimenticarcene - stiamo vivendo è fatto di un’unica cosa sostanzialmente: riconoscimento.
Riconoscimento di quanto siamo deboli e pronti ad autotutelarci contro Dio e contro tutti
Quasi fosse nell’altro da noi, il pericolo, e non in noi stessi.
Cassiano spiega la procedura del male - il peccato -; Proust, che a tutto pensava tranne che alla Quaresima, comunque ne descrive perfettamente il volto.
Attraverso la narrazione di uno stile di vita la critica del quale- secondo il vuoto pneumatico e mistificatore di oggi - è ‘politicamente scorretta’: ma che, in realtà, è uno dei quattro fatti che gridano semplicemente vendetta al cospetto di Dio.
Dare un occhio a Cassiano per poi farci delle domande, attraverso Proust, su tanto marcio che sfioriamo e rifiutiamo di vedere, è già varcare le soglie della Pasqua.

“Quando uno cade non si tratta mai di una disgrazia improvvisa. I casi sono due: o una educazione difettosa fin dalle origini lo ha messo per una via sbagliata, oppure una prolungata negligenza lo ha indebolito a poco a poco facendo crescere i vizi: qualunque dolorosa caduta è l'effetto di uno di questi stati...
Una casa non crolla mai all'improvviso.
Sarà un difetto del fondamento, tanto antico quanto la costruzione, sarà la trascuratezza degli abitanti che ha lasciato penetrare l'acqua a goccia a goccia finché questa ha fatto marcire le travi del tetto e poi, col progredire del tempo, ha formato aperture più grandi e incrinature più pericolose” 

                                                          [Cassiano, Collationes, 6, 17]

 

“Il vizio accompagna chiunque ne sia affetto al modo di quel genio che restava invisibile agli uomini finché questi ne ignoravano la presenza.
È la ragione a spalancarci gli occhi: si va avanti a non nutrire il minimo sospetto sino al giorno in cui, sulla superficie omogenea dell’individuo simile a tutti gli altri, sono venuti affiorando, tracciati con un inchiostro lungamente invisibile, i caratteri che compongono la parola cara agli antichi greci.
E questa nuova nozione basterà, da sola, a trascinare tutto un gruppo, a far avanzare o battere in ritirata la frazione delle nozioni ormai completate di cui disponevamo sul resto: un altro essere era venuto invano ad accoppiarsi nel signor di Charlus, differenziandolo dagli altri uomini, come il cavallo nel centauro: invano quell’essere aveva sempre fatto tutt’uno con lui, io non l’avevo mai visto.
Adesso l’astratto s’era materializzato; l’essere, finalmente, capito, aveva perso di colpo il potere di rimanere invisibile, e la metamorfosi nella nuova persona era così completa che non solo i contrasti del suo viso, della sua voce, ma anche, retrospettivamente, gli alti e bassi dei suoi rapporti con me, tutto ciò che, fino a quel momento, il mio intelletto aveva trovato incoerente, diventava intelligibile, appariva evidente, così come una frase che non offriva alcun senso finché restava scomposta in lettere sparse a casaccio esprime, non appena i caratteri vengano rimessi nella giusta successione, un pensiero che non potremmo mai dimenticare.
Capivo che il signor di Charlus apparteneva alla razza di quegli esseri- meno contraddittori di quanto non appaiano- il cui ideale è virile proprio perché il loro temperamento è femminile, e che sono nella vita, ma solo in apparenza, simili agli altri uomini; là dove per ciascuno, inscritta negli occhi attraverso i quali vede tutte le cose del mondo, vi è la silhouette d’un corpo, loro non hanno quella d’una ninfa, ma d’un efebo.

Razza su cui pesa una maledizione, costretta a vivere nella menzogna e nello spergiuro perché sa che il suo desiderio- ciò che costituisce per ogni creatura la  suprema dolcezza del vivere- è considerato vergognoso, inconfessabile ; figli senza madre, cui sono obbligati a mentire persino nel momento di chiuderle gli occhi, amici senza amicizie, malgrado tutte quelle che il loro fascino sovente riconosciuto può far nascere e che il loro cuore, non di rado buono, saprebbe provare, ma è lecito chiamare amicizie le relazioni che vegetano col solo favore della menzogna e dalle quali il primo slancio di confidenza e di sincerità cui fossero tentati d’abbandonarsi li farebbe respingere con disgusto?
Senza onore se non precario, senza libertà se non provvisoria, senza posizione se non instabile, esclusi dalla simpatia, a volte dalla compagnia dei loro simili, cui procurano il disgusto di vedersi quali sono, ritratti in uno specchio che, non lusingandoli più, denuncia tutte le tare che s’erano rifiutati di constatare in se stessi e li costringe a capire che ciò che chiamavano il loro  amore, non deriva da un’ideale di bellezza liberamente scelto, ma da una malattia inguaribile, al punto che, pur formando una razza, coloro che riescono a nascondere d’essere tali , smascherano volentieri chi lo è, meno per danneggiarlo - cosa da cui peraltro non rifuggono - che per scusare se stessi.
Membri di una massoneria assai più estesa, più efficace e meno sospettata di quella delle logge, perché si fonda su un’identità di gusti, di bisogni, di abitudini, di rischi, d’ apprendimento, di conoscenza, di relazioni, di glossario, e nella quale anche coloro che sperano di non conoscersi ben presto si riconoscono, per via di segni naturali o convenzionali, involontari o voluti, che additano un suo simile nel mendicante al gran signore, al padre nel fidanzato della figlia, a chi voleva guarire, confessarsi, a chi aveva bisogno d’esser difeso nel medico, nel prete, nell’avvocato a cui si è rivolto; costretti tutti a proteggere il loro segreto, ma essendo a parte di un segreto degli altri che il resto dell’umanità non sospetta, tanto che, ai loro occhi, i più inverosimili romanzi d’avventura appaiono veri, giacché nel romanzesco anacronismo di quella vita, l’ambasciatore è amico del forzato, e il principe, con una certa scioltezza che gli viene dalla sua educazione aristocratica, e che un tremante piccolo borghese non potrà mai avere, uscendo dalla casa della duchessa andrà ad incontrare il teppista.
Parte reietta della collettività , e tuttavia parte importante, sospettata dove non esiste, ostentata, insolente, impunita dove nessuno ne supporrebbe la presenza; con aderenti ovunque, nel popolo, nell’ esercito, al tempio, in galera, sul trono; capaci, almeno nella maggior parte dei casi, , di vivere in affettuosa, pericolosa intimità con gli uomini dell’altra razza, di provocarli giocando a parlare del loro vizio come se non fosse il loro, gioco facilitato dalla cecità o falsità degli altri, gioco che può protrarsi per anni, sino al giorno dello scandalo, quando i domatori vengono sbranati; costretti sino a quel momento, a nascondere la propria vita, a distogliere gli occhi da ciò che gli occhi vorrebbero fissare, a posarli su ciò da cui vorrebbero distoglierli, a mutare il genere di tanti aggettivi del loro vocabolario, costrizione sociale alquanto lieve se paragonata alla costrizione interiore che il loro vizio, o ciò che così viene chiamato, impone loro non più nei confronti degli altri, ma di loro stessi, ed in modo che esso non appaia un vizio ai loro propri occhi. Ma alcuni, più pratici, più indaffarati, non potendo provvedere da soli, o non volendo rinunciare alla semplificazione della vita, si sono fatti due compagnie, la seconda soltanto delle quali è composta esclusivamente di gente come loro.
Non diversamente da come, in una piccola città, legano fra loro il professore di liceo ed il notaio ugualmente appassionati di musica da camera o di avori medievali, applicando all’oggetto del loro svago lo stesso istinto utilitario, lo stesso spirito professionale che li guida nella carriera, si incontrano con i loro simili in riunioni cui i profani non sono ammessi più che a quelle fra amatori di vecchie tabacchiere, di stampe giapponesi, di fiori rari, e , dove, regnano ad un tempo, la stretta intesa dei competenti e le feroci rivalità dei collezionisti.
Molti disprezzano le donne in quanto il carattere eccezionale della loro inclinazione fa sì che si ritengano superiori ad esse, stimano l’omosessualità un privilegio dei grandi geni e delle epoche gloriose, e quando si adoperano per far condividere ad altri il loro gusto, non lo fanno tanto, come il morfinomane con la morfina, nei confronti di chi sembra loro più predisposto, quanto di chi giudicano più degno.
Costoro vivono forse meno esclusivamente sotto il segno di Saturno, giacché per loro le donne non sono completamente escluse, come per altri di loro ai cui occhi esse neppure esisterebbero se non fosse per le chiacchiere, la civetteria, gli amori di testa.
Per questi ultimi la gelosia è eccitata solo dal piacere che i loro amati potrebbero prendere con un altro uomo, il solo che appare ai loro occhi come un tradimento, e non condividono l’amore delle donne, non l’hanno mai praticato se non come abitudine e per riservarsi la possibilità del matrimonio. Si raffigurano così poco il piacere che esso può dare, da non poter provare sofferenza alcuna se l’uomo che essi amano lo sperimenta.
I primi invece sono fonte di gelosia per chi li ama a causa dei loro amori con le donne.
Infatti, in questi loro rapporti, essi svolgono, per la donna che inconsciamente ama le donne, il ruolo quasi di un’altra donna, e la donna, a sua volta, offre loro ciò che essi cercherebbero in un uomo, tanto che l’amico geloso dell’uomo soffre, ma perché sente che l’amato si lega a quella donna perché lei per lui è quasi un uomo.
Nello stesso tempo soffre perché ha quasi l’impressione che lui gli sfugga, essendo per tali donne qualcosa che egli ignora e disprezza: una specie di donna.
I due angeli posti alle porte di Sodoma per accertare se gli abitanti avessero commesso davvero tutte le cose il cui clamore era salito sino all’Eterno, erano stati scelti assai male dal Signore, il quale avrebbe dovuto affidare quell’incarico a nessun altro che ad un sodomita. Quello, le scuse del tipo: ”Padre di sei figli, ho due concubine, ecc.” non l’avrebbero certo indotto ad abbassare benevolmente la spada. Avrebbe replicato:” Già, e tua moglie soffre la tortura della gelosia. Ma anche quando quelle donne non sei andato a scegliertele a Gomorra, passi le tue notti con un guardiano di greggi di Hebron”.
E fu così che ebbero una copiosa posterità e si sono fissati ovunque sulla terra, hanno avuto accesso a tutte le professioni si introducono con tanta facilità nei circoli più chiusi, tanto che, quando uno di loro non viene ammesso, la maggior parte di palle nere proviene proprio dagli ex abitanti di Sodoma, perché hanno ereditato la menzogna che permise ai loro antenati di lasciare la città maledetta.
È possibile che un giorno vi facciano ritorno, rifondando la città distrutta, ma appena ci mettessero piede, i sodomiti la abbandonerebbero e, per dare l’impressione di non essere tali, prenderebbero moglie, manterrebbero amanti in giro per altre città: andrebbero a Sodoma solo nei giorni di estrema necessità, quando la città fosse vuota, in quei periodi in cui la fame fa uscire i lupi dalla foresta.

In altre parole, tutto si svolgerebbe esattamente come a Londra, a Berlino, a Roma, a Pietroburgo o a Parigi”. 

                                                        Marcel Proust, A la recherche du temps perdu, IV.

(immagine: Osvaldo Licini - Pentimento)