"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Juilia Kristeva

Juilia Kristeva, che ha ricevuto una laurea ad honorem dallo IULM il giorno 12 dicembre, ha tenuto per l’occasione una Lectio Magistralis molto interessante.

La Kristeva era stata invitata da Benedetto XVI nel 2011 quando aveva pubblicato "L'incroyable besoin de croire".
Che, scherzando con le parole in forma di ossimoro (in italiano tradotto semplicemente "Il bisogno di credere"), dice una cosa di importanza capitale per la vecchia Europa nichilista.
Quanto cioè, come psicoanalista, aveva ben chiaro grazie ai numerosi pazienti trattati: che recidendo il filo con la tradizione,
l'Europa che rinnega la fede, è un caso unico a livello mondiale, e così facendo ha posto in essere la negazione di un'esigenza connaturata all'uomo in quanto tale.
Un’esigenza che viene prima di ogni religione storica, qualunque essa sia: il bisogno di credere.
Lei lo definisce “il bisogno di dire: Io ti dò il mio cuore, tu dammi l'Eternità".
Cosa che sostanzialmente vuol dire: "Mi posso fidare".
Senza poter attivare una fiducia reale che qualcuno ci renderà, dopo aver consegnato il nostro cuore, l'eternità cioè la pienezza di me, la persona declina, implode su se tessa.
Per questo, quando in cambio della fiducia data ad altri, riceviamo tradimenti e disillusioni noi sprofondiamo nella depressione. Che è molto di più del semplice senso di smacco.
Ma lei sostiene che creder comunque dobbiamo, e le religioni storicamente si sono sempre incaricate di custodire questa esigenza.
Ha posto come fondamentale che nessuno smetta mai di porsi la domanda circa chi lui stesso è.
Infatti solo così, restando all'interno dei rapporti  umani, si può evitare l'illusione reciproca.
Lei ha detto che pur definendosi 'atea' si è sempre ritrovata nella domanda di sant'Agostino: "quaestio mihi factus sum" come nell'altra definizione agostiniana: "In via".
Si è perfino inventata un verbo riflessivo che non esiste: "Viaggiarsi".
E' venuta in Europa dell'ovest a 25 anni, negli studi a Parigi ha introdotto il concetto di iper e inter testualità, si è dedicata alla psicoanalisi e, sempre partendo dal problema della comunicazione, quindi della lingua e delle lingue, invitando a salvarsi dal "Globalish dell'English". E' stato bello quando ha raccontato di una sua paziente adolescente che in mancanza di un'identità che la famiglia non le sa dare è diventata jihadista e desiderosa di andare in Siria, fare figli ad un combattente e distruggere prima possibile la sua patria.
Quando, nell'équipe che la tratta, la ragazza ha potuto leggere in lingua francese il testo di una poesia araba, poesia che parlava di pace ed amore, è cambiata completamente.
Non vuol più partire e ha deciso di cambiare vita.
In una lingua - la sua d’origine - diversa da quella del poeta studiato le si è reso il contenuto di un'altra cultura considerata come ‘alternativa’ alla propria e  ha scoperto che la lingua che rappresenta ciò che combatti si può trovare proprio la chiave per accedere a ciò che desideri!
E' bellissimo ed è quello che - anche senza scoprire oggetti culturali esotici - dovrebbe stare dentro il nostro parlarci, dentro la lingua ordinaria che parliamo: l'oltre - che per definizione vogliamo vedere agli antipodi della nostra normalità - può essere narrato proprio dalle nostre articolazioni linguistiche ordinarie.
Godiamoci l'incredibile bisogno di credere che noi abbiamo - almeno quello - sempre saputo di avere.