"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

La fede non è questione di persuasione, ma di grandezza

(9 novembre 2006, ai Vescovi della Svizzera)

Ancora, quindi, il tema “Dio”.
Mi è venuta in mente la parola di s.Ignazio “Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza” (Romani 3,3).

Non dovremmo permettere che la nostra fede sia resa vana dalle troppe discussioni su molteplici particolari meno importanti, ma aver invece sempre sotto gli occhi in primo luogo la sua grandezza.
Mi ricordo quando, negli anni Ottanta-Novanta andavo in Germania, mi si chiedevano delle interviste, e sempre sapevo già in anticipo le domande. Si trattava dell’ordinazione delle donne, della contraccezione, dell’aborto e di altri problemi come questi che ritornano in continuazione.
Se noi ci lasciamo tirare dentro queste discussioni, allora si identifica la Chiesa con alcuni comandamenti o divieti e noi facciamo la figura di moralisti con alcune convinzioni un po’ fuori moda, e la vera grandezza della fede non appare minimamente.
Perciò ritengo sempre cosa fondamentale mettere sempre di nuovo in rilievo la grandezza della nostra fede: un impegno dal quale non dobbiamo permettere che ci distolgano simili situazioni.
Sotto questo aspetto è importante soprattutto curare il rapporto personale con Dio, con quel Dio che si è mostrato a noi in Cristo.
Agostino ha sottolineato ripetutamente i due lati del concetto cristiano di Dio: Dio è ‘Logos’ e Dio è ‘Amore’- fino al punto di farsi totalmente piccolo, di assumere un corpo umano e alla fine di darsi come pane nelle nostre mani.
Questi due aspetti del concetto di Dio dovremmo sempre tenere presenti e fare presenti.
Dio è ‘Spiritus Creator’, è ‘Logos’, è ragione.
E per questo la nostra fede è una cosa che ha da fare con la ragione, può essere trasmessa mediante la ragione, e non deve nascondersi davanti alla ragione, neanche a quella del nostro tempo.
Ma questa ragione eterna e incommensurabile, appunto, non è soltanto una matematica dell’universo e ancora meno qualche ‘prima causa’ che , dopo aver provocato il Big Bang, si è ritirata.
Questa ragione, invece, ha un cuore, tanto da poter rinunciare alla propria immensità e farsi carne e solo in ciò sta, secondo me, l’ultima e vera grandezza della nostra concezione di Dio.
Sappiamo: non è un’ipotesi filosofica, non è qualcosa che ‘forse’ esiste, ma noi Lo conosciamo ed Egli conosce noi. E possiamo conoscerLo sempre meglio, se rimaniamo in colloquio con Lui.

Per questo è un compito fondamentale della pastorale insegnare a pregare ed impararLo personalmente sempre di più.

(…)
La preghiera è speranza in atto.
E, di fatto, nella preghiera si schiude la vera ragione per cui ci è possibile sperare:noi possiamo entrare in contatto con il Signore del mondo, egli ci ascolta e noi possiamo ascoltare Lui...

(…)
La cosa veramente grande nel cristianesimo, che non dispensa dalle cose piccole e quotidiane, ma che non deve neanche essere coperta da esse, è questo poter entrare in contatto con Dio.

(…)
Quello che invece risulta molto difficile alla gente è la morale che la Chiesa proclama

(…)
La società moderna non è semplicemente senza morale, ma ha, per così dire, ‘scoperto’ e rivendica un’altra parte della morale che nell’annuncio della Chiesa negli ultimi decenni e anche di più, forse non è stata abbastanza proposta.
Sono i grandi temi della pace, della non violenza, della giustizia per tutti, della sollecitudine per i poveri e del rispetto per la creazione.
Questo è diventato un insieme etico che, proprio come forza politica, ha un grande potere e costituisce per molti la sostituzione o la successione della religione.
In luogo della religione che è vista come metafisica e cosa dell’al di là- forse anche come cosa individualistica- entrano i grandi temi morali come l’essenziale che poi conferisce dignità all’uomo e lo impegna.

(…)
E sono davvero grandi temi morali che appartengono, del resto, anche alla tradizione della Chiesa.
I mezzi che si offrono poi per la loro soluzione sono poi molto unilaterali e non sempre credibili,ma su questo non dobbiamo soffermarci ora.
L’altra parte della morale che non di rado viene colta in modo assai controverso dalla politica, riguarda la vita.
Fa parte di essa l’impegno per la vita, dalla concezione fino alla morte, cioè la sua difesa contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro la manipolazione e contro l’auto-legittimazione dell’uomo a disporre della vita. Spesso si cerca di giustificare questi interventi con gli scopi apparentemente grandi di poter con ciò essere utili alle generazioni future e così appare addirittura come cosa morale anche il prendere nelle proprie mani la vita stessa dell’uomo e manipolarla.

(…)
In questo contesto si pone poi anche la morale del matrimonio e della famiglia.
Il matrimonio viene , per così dire, sempre più emarginato.
Conosciamo l’esempio di alcuni paesi dove è stata fatta una modifica legislativa, secondo la quale il matrimonio adesso non è più definito come legame tra uomo e donna, ma come un legame tra persone; con ciò ovviamente è distrutta l’idea di fondo e la società, a partire dalle sue radici, diventa una cosa totalmente diversa: la consapevolezza che sessualità, eros e matrimonio come unione tra uomo e donna , vanno insieme, questa consapevolezza s’attenua sempre di più; ogni genere di legame sembra assolutamente normale- il tutto presentato come una moralità la  vera non-discriminazione e un modo di libertà dovuto all’uomo.
Con ciò naturalmente l’idea di indissolubilità del matrimonio è diventata un’idea quasi utopica che , proprio anche in molte persone della vita pubblica, appare smentita. Così anche la famiglia si disfa progressivamente.

(…)
In questi ambiti, dunque, il nostro annuncio si scontra con una consapevolezza contraria della società, per così dire, con una specie di antimoralità che si appoggia si di una concezione della libertà vista come facoltà di scegliere autonomamente senza orientamenti predefiniti, come non- discriminazione, quindi come approvazione di ogni tipo di possibilità, ponendosi così in modo autonomo come eticamente corretto.
Ma l’altra consapevolezza non è scomparsa.
Essa esiste e io penso che noi dobbiamo impegnarci per ricollegare queste due parti della moralità e rendere evidente che esse vanno inseparabilmente unite tra loro.
Solo se si rispetta la vita umana dalla concezione fino alla morte è possibile e credibile anche l’etica della pace; solo allora la non violenza può esprimersi in ogni direzione, solo allora accogliamo veramente la creazione e solo allora si può giungere alla vera giustizia.
Penso che abbiamo davanti un grande compito: da una parte non far apparire il cristianesimo come semplice moralismo, ma come dono nel quale ci è dato l’amore che ci sostiene e ci fornisce poi la forza necessaria per saper ‘perdere la propria vita’; dall’altra in questo contesto di amore donato, progredire anche verso le concretizzazioni, per le quali il fondamento ci è offerto dal Decalogo che, con Cristo e con la Chiesa,dobbiamo leggere in questo tempo in modo progressivo e nuovo.