"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Non è una roba di benedizioni discendenti o ascendenti, pubbliche o private, davanti all’altare o in fondo a destra, 15-20 secondi o 35. Non è neanche una questione di permettere o no certe condotte, lo sappiamo che la Chiesa non permette niente, ma perdona tutto, a differenza del mondo, che permette tutto, ma non perdona niente.
Il tema è la fede. Il punto centrale, o meglio la base della fede è, infatti, accettare che ci sia un punto di vista su di noi, sulla nostra vita, una parola - una Parola - che sia più degna di essere ascoltata di quello che pensiamo noi autonomamente, cioè più degna di fede, di quello che crediamo noi, di quello che viene dalla nostra mente, dall’inconscio, dalle idee, dal nostro mondo interiore.
La fede è incontrare qualcuno che afferma di dirti la verità su di te, e decidere di fidarti, appunto, di ascoltare, e poi di conseguenza di cercare di obbedire - ob-audire, ascoltare e vivere di conseguenza a quella voce perché capisci che è vera e quindi alla fine ti fa felice.
Al cuore del peccato originale, come racconta la Genesi con la mela e il serpente, infatti, c’è esattamente questo: l’uomo che vuole fare di testa sua, perché in fondo pensa di essere intelligente ed è convinto che Dio lo voglia fregare. Dall’altra parte invece c’è un Padre buono, il più buono di tutti, che ci dice cosa è meglio per noi, cosa ci fa vivere. Non per sadismo, non per il gusto di comandare, non per metterci delle regolette cretine, ma perché sa qual è il nostro vero bene.
La Chiesa annuncia all’uomo questa verità, perché come sposa di Dio che è nostro Padre, e quindi come nostra madre vuole che l’uomo viva, e sia felice, lui e i suoi figli, e i figli dei suoi figli. Questo vale per tutto ciò che la Chiesa annuncia da sempre all’uomo, compresa la questione dell’affettività dentro al matrimonio, e dell’omosessualità (sebbene non sia prudente accomunare così tanto le due questioni: un conto è un’affettività tra uomo e donna fuori dal matrimonio, ben altro conto è la ferita di cui l’omosessualità è conseguenza, ma questo è un passo successivo).
Nessuno, neanche la Chiesa, può essere più buono di Dio, perché Dio è il sommo bene. Se nel disegnare l’uomo maschio e femmina, nel mettere nel cuore la reciproca attrazione, ha pensato il bene dell’uomo, e se afferma - tramite la millenaria e immutata tradizione della Chiesa - che ciò che è fuori da questo disegno è male, qual è il vero motivo del fatto che con Fiducia supplicans si decide che si può dire che è bene un’unione contraria alla verità?
L’unica spiegazione è che qualche sacerdote, qualche teologo non creda in Dio, non creda abbastanza che il peccato frega l’uomo, per prima cosa. Il peccato fa stare male prima di tutto noi. Forse qualche sacerdote pensa che ciò che Dio dice all’uomo è sì, importante, ma non decisivo. Che Gesù sia uno che ci dà il buon esempio, non la Via, la Verità e la Vita. Che se lo si può imitare, bene, ma alla fine si può essere felici anche senza cercare di vivere in Lui.
Non credono che il Battesimo fa entrare in un’altra vita, la vita dei figli di Dio: quindi la via che la Chiesa indica non è per tutti gli uomini, ma per i battezzati. Tutti gli uomini possono essere battezzati, cioè diventare figli di Dio, ma non tutti lo sono e non tutti lo vogliono. Il punto del battesimo è svuotarti del tuo ego, disobbedire a te stesso, obbedire a Dio.
Noi - e forse oggi anche quelli della Dottrina della fede? - abbiamo fatto del cristianesimo una sorta di stoicismo, “tocca comportarsi bene”, ma il punto del cristianesimo è un altro. Non è la buona condotta, è che Cristo ha vinto la morte. Tu con Cristo apri una porta, e vedi la vita oltre la morte. Questo cambia tutto. La fede è un rapporto reale con la Persona di Dio, ma se manca il rapporto reale la fede è un macello, è un carnevale religioso, e paradossalmente questa apparente apertura della benedizione delle coppie omo va in questa direzione di un rapporto formale e vuoto con Dio. La fede è un’altra cosa, è vivere in Cristo, non è comportarsi bene, è innescare una vita su un altro livello, una vita che va oltre la morte.
Annunciare alle persone che va bene - letteralmente bene - dire - che rimangano nella loro morte non è misericordia, è non credere che la vita in Cristo sia più potente dei cavilli dei preti che non credono più.
Fiducia supplicans dunque dovrebbe chiamarsi sfiducia supplicans, più precisamente. È la sfiducia in Dio, alla fine, l’unica posizione che può indurre qualcuno a benedire la decisione di vivere stabilmente fuori dal progetto di Dio. Chi lo fa, evidentemente, non crede davvero che Dio fa nuove tutte le cose, ed è la Verità dell’uomo, o pensa che sia solo un’opzione possibile. Che è vera ma che è anche vero un po’ il contrario. Benedicendo una coppia dello stesso sesso - non due persone singole, che, lo ripeteremo fino alla nausea, sono sempre da benedire, sempre, in qualunque condizione si trovino - noi stiamo dicendo che quello che Dio dice sull’uomo e sulla donna magari è anche una bella cosa, ma può anche non essere ascoltato. Insomma pensiamo che Dio ci dia delle regole per fregarci, e non per farci felici.
È questo il peccato originale dell’uomo, pensare di saperla più lunga di Dio, non fidarci - sfiducia, appunto, non fiducia. Ma chi non si fida di Dio, alla fine non crede davvero che ci sia.