"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

A parte la bellezza commovente della storia di ricerca delle proprie radici che Foer, discendente di ebrei emigrati ucraini, narra con maestria, due momenti sono quelli che mi hanno particolarmente colpito.
Essendo appunto il film trasmesso nell’oggi dello svolgimento della attuale guerra russo - ucraina.
Lungo l’interminabile e surreale viaggio che porterà l’autore in cerca delle famose radici , su un’auto scassata presa a nolo con per conducenti due ucraini di Odessa, a traversare da Sud a Nord il Paese, fino al confine con la Polonia, il primo momento è quando - citando la nonna che ricordava come erano trattati gli Ebrei in Ucraina prima dell’ultima guerra - il giovane di Odessa conclude che lei lo consolò , dicendo: “Però poi arrivarono i nazisti, e allora le cose andarono un po’ meglio”.
Forse, verrebbe da pensare, l’ebreo, che è l’attuale presidente ucraino, sta portando avanti la vendetta sui i suoi connazionali, con alcuni decenni di ritardo.
Infatti - se non sapessimo delle lobbies di venditori di armi americane che stanno facendo i miliardi sullo spappolamento del suo popolo - verrebbe proprio da pensare che l’ex attore comico di bassa lega si stia togliendo milioni di sassolini dalle scarpe.
Detto questo, la seconda riflessione, altrettanto tragica, sorge quando, una volta trovate le fatidiche radici in casa di una anziana ebrea sopravvissuta a rastrellamento e relativo incendio del proprio villaggio- quello cercato dell’autore - l’anziana donna sopravvissuta -quasi simbolo della inutilità e devastante follia che le guerre rappresentano- domanda con incredulità ai visitatori: “Ma la guerra è finita?”
E le viene detto che sì: la guerra è finita.
Quando Foer scriveva il libro era - forse - finita.
Sentir dire oggi, nel mezzo di uno dei meravigliosi campi di girasole ucraini devastati peggio di quanto non li devastò la furia nazista, che “la guerra è finita”, suona veramente inquietante.
Ma, in questo dicembre pieno di sangue, persino, come si è visto, a Praga, a due giorni dalla Nascita di Cristo, il re della Pace, senza che lì ci fosse ‘guerra’ come altrove, è pensare che la causa delle due più sanguinose vicende siano causate appunto da due ebrei: Zelensky in Ucraina e Netanyahu in
Terra santa.
Per entrambi non esiste nessuna misura di umanità.
Bensì una caparbietà a valersi dei mezzi di informazione asserviti, a mandare in onda sempre e solo il leit motiv della provocazione altrui, come se il resto dell’umanità diverso da loro, provocasse per il gusto di provocare, senza nessuna ragione.
Se non si deve giustificare nessun atto di violenza, nemmeno si giustifica chi crede che la si sani con altrettanta e ancor peggiore violenza.
Volevo fare con questo scritto gli auguri per il Nuovo Anno, ma poi, mi ha preso la mano la constatazione di quello che ha portato questo, di Anno, mentre si avvia a terminare.
E mi sono sentita spiazzata.
Quando ho visto un traboccare di pura follia, lì tra le aule dell’università di Praga, nel cuore grande e pieno di saggezza della vecchia Mitteleuropa - come se non bastasse la fatica quotidiana di dover convivere con le notizie della follia della guerra - ho proprio pensato che non ci sia un limite al male.
Si può, però, non voler cedere alla menzogna.
Come diceva nel ’74, poco prima dell’esilio, il grande Solgenitsin
A cominciare dalle nostre case, dai nostri rapporti personali.
Dalle nostre famiglie e dai nostri amici.
Non permettere alla menzogna di penetrare in questi microambiti: questa è la risorsa per impedire, da parte nostra, che essa dilaghi anche là dove operativamente non possiamo fare nulla.
Papa Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate dice: “Non si tratta di morale meramente individuale, anche quando si parla semplicemente della coppia, di un uomo e di una donna che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella reciprocità, e si aprono per questo alla vita: infatti esistono forti legami tra etica della vita ed etica sociale”.
Solo un’etica della vita che ci permette di non ‘vedere nell’altro sempre e soltanto l’altro’, ma di “scoprire veramente questo altro e maturare una cura dell’altro e per l’altro” (Deus caritas est, 18).
Quando ci rivolgiamo ai nostri cari in famiglia come a puri strumenti funzionali alle nostre piccinerie ed egoismi -sia pur ammantati di slogan o traboccanti regali di Natale - stiamo contribuendo a rendere impossibile e impraticabile l’etica a quegli ‘alti livelli’ a cui noi non saremo mai - forse - chiamati a decidere.
L’invito e l’augurio per il Nuovo Anno, quindi - assieme a Benedetto XVI, di cui non posso non ricordare la dipartita, esattamente domani rispetto al momento in cui sto scrivendo - è quello di diventare consapevoli che: “Senza verità, senza fiducia ed amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale. Senza verità l’agire cade in balìa di interessi e logiche di potere (anche nelle nostre placide famiglie, nota mia), con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società come la nostra in via di globalizzazione e che attraversa momenti difficili come quelli attuali.
Il bene comune, come quello individuale, e adoperarsi per essi è ardore della carità e sapienza della verità.

(immagine: Starè Mešto, Praga)