"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Lungo il Foro Bonaparte cominciano, già alcuni giorni prima, a dipanarsi lunghe teorie di bancarelle, venditori di zuccheri filati, espositori della più varie chincaglierie e categorie.
Certo, molte delle cose che là circoleranno, avranno anche a che vedere con il santo Patrono e con il Natale. Per il resto, la maggioranza dei convenuti che ivi si raccoglierà, del Natale avrà l’esclusivo problema di distrarsi a basso costo.
Se possibile.
Tanti anni fa, le bancarelle, dette degli Obej OBej, si radunavano invece tutt’attorno alla basilica di sant’Ambrogio, in stretta concomitanza con il carattere di festa patronale che - appunto - il mercatino voleva rappresentare.
Deportando tutto alquanto distante dalla originaria collocazione, il comune altro non ha fatto che incentivare la connotazione giostresca ed affaristica che la città ormai contraddistingue, sopra ogni altra caratterizzazione essa abbia mai potuto avere.
Il giorno del santo Patrono è quello dell’accensione degli alberi natalizi preparati, da chi ancora ci tiene, nei giorni precedenti ed in standby fino a quella data, per poter finalmente cominciare a lanciare sprizzi e sprazzi di luci e lucine.
E poi, la Prima della Scala.
Quest’anno, in scena il Don Carlos di Giuseppe Verdi.
La protagonista femminile sarà la voce da brivido di Anna Netrebko, la quale - citando da Repubblica di qualche giorno fa è ”la regina della lirica, soprano russa senza confronti, vigore espressivo, piglio da diva, milioni di follower e carisma ammaliante. Scoperta dal geniale direttore Valery Gergiev, amico di Putin”.
E ne siamo strafelici.
Dai trentacinque (forse più, non ricordo) punti localizzati in giro per Milano, attrezzati con maxischermi per poter partecipare anche senza essere diamantate signore dell’alta borghesia o altisonanti nomi di pubblici uomini, si potrà godere un po’ di bellezza messa alla portata di tutti.
La cosa che colpisce - e che molto ricorda la capacità di trasformare un ‘valore’ (= Sant’Ambrogio e i suoi Obej Obej) in un quid ‘sostenibile’, è quella così diffusa di relegare alle nostre volubili spalle tutto quanto siamo stati, almeno sino a ieri.
È infatti ieri, per la precisione soltanto 18 mesi fa, che ‘la regina della lirica’ dovette RITIRARSI dalla Scala perché il sindaco e il teatro avevano cacciato il geniale direttore Gergiev per putinismo.
Qui, preferisco cedere la parola a Marco Travaglio che a me pare dotato di una memoria cyberarchivistica senza sosta. Memoria che gli permette poi di farci dono di quanto archiviato, per metterci come dinnanzi ad uno specchio - surreale - in cui noi e le nostre cattive coscienze possiamo ammirare l’infinita distanza tra noi e la verità storica.
Specchio e dono gradito a color che - in maniera totalmente politicamente scorretta - ritengono che una verità esista e debba esistere.


LA RITIRATA DI RUSSIA

Marco Travaglio

"Altri teatri, se oltre alla Scala di Milano, 18 mesi fa, cancellavano i balletti di Tchaikovsky e altri musicisti ‘protoputiniani’.
La Fiera del Libro del ragazzo di Bologna bandiva autori e editori russi. Il Festival della Fotografia di Reggio Emilia rimandava indietro il russo Gronsky, così putiniano che, appena rientrò a Mosca, sfilò in un corteo contro Putin e la guerra, e fu arrestato dalla polizia.
Gli atleti russi, olimpici e paralimpici, erano banditi dalle gare o costretti a partecipare senza bandiere.
La Bicocca, dopo approfondite ricerche, scoprì che era russo anche tale Dostoevskij che - assieme a Tolstoj, Cechov, Puskin, Gogol’ ed altri putribondi figuri, minacciava di diffondere propaganda putiniana e, quindi, sospese il seminario accademico del prof. Paolo Nori sulle sue opere.
Mezzo mondo cancellò film russi e corsi di lingua russa.
Le fiere feline squalificarono i gatti russi, forse per evitare miagolii putinisti.
Il concorso Albero dell’Anno espulse la quercia di Turgenev (pure lui sfacciatamente russo).
Banditi anche intellettuali ed artisti ucraini che avevano osato nascere od esibirsi in Donbass o in Crimea.
La delegazione russa fu estromessa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz, notoriamente liberata non dall’Armata Rossa, ma da ucraini e americani (come nella Vita è bella di Benigni).
Il tutto fra le standing ovations della stampa atlantista.
La stessa che, adesso, copia il tanto millantato prof. Orsini, o che ora relega Zelensky nei suoi trafiletti, o che invoca un compromesso Mosca-Kiev, prima che si noti la disfatta Nato, infine la stessa che stende tappeti rossi alla ‘regina putiniana della lirica’.
Stavamo aspettando (e con lui anche chi scrive) che i vari Riotta, Mieli, Polito, Cappellini, Severgnini, Folli, Grasso, Sarzanini, Guerzoni, Iacoboni e altri atlantisti de noantri infilassero per questi suoi apprezzamenti positivi Repubblica in una nuova lista di putiniani servi della propaganda russa! ma, invece, tutti zitti e… Mosca”.

(immagine: "Teatro alla Scala" - "Danzando sulle sponde del Bajkal")