"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Stavano intervistando un abitante della Cisgiordania, per sua ventura ‘non ebreo’, il quale narrava come il figlio, nel parcheggiare là sotto - e ce la indicava - nella strada che passa sotto casa, rientrando come tutti i giorni per pranzare con moglie e figli, avesse inopportunamente tamponato l’auto di un ebreo. Ed ecco - l’orrore è quasi maggiore di quando li si vede bombardare - l’ebreo scende dall’auto, estrae una pistola e spara al suo tamponatore. Uccidendolo sul colpo.
Chissà se qualche Corte suprema giudicherà mai un tale misfatto?
Di certo vi è che il disprezzo della vita umana da parte di questi sedicenti appartenenti al ‘popolo eletto’ è di dimensioni mostruose.
Infatti, la vita umana non ha lo stesso valore - per questi sedicenti ‘eletti’ - riferita a qualunque essere circolante sulla terra con le qualifiche - per loro solo apparenti - di proprio simile.

Se fosse accaduto al rione Sanità, si sarebbero sprecate le condanne e i segni di disprezzo.
Quaggiù, solo la casualità di un’intervista non strettamente allineata con i media ufficiali ha portato a venire rilevato un misfatto dei più odiosi e compiuto proprio dagli ‘aggrediti’, come tali i sedicenti ‘eletti’ pensano di sé e pretendono il mondo pensi.
Questo killer antitamponamenti abita lassù, sulle colline della Cisgiordania, unilateralmente attribuitesi assieme ai suoi compagni di insediamento abusivo, in linea con l’invito del fondamentalismo puro che siede alla Knesset al momento, e che ripete loro: “La Terra è ‘nostra’, occupatela, andate e non preoccupatevi”.
Era appunto per non far preoccupare questi coloni occupatori di suolo (è, oltre al rispetto per la storia, una risoluzione ONU che glielo vieta), che l’esercito aveva lasciato sguarnita l’altra frontiera in casa, Gaza.
Siccome la parola ‘terra’, legata alla Terra promessa, è parola che evoca molti significati e risonanze anche per i cristiani, come cristiana mi sono permessa di allegare qui la lettura imparziale e corretta dal punto di vista razionale, oltre che teologico, che ne fa Ratzinger. Parlando del concetto di Terra come contenuto della promessa e dell’elezione da parte di Dio, occorre non dimenticare l motivo unico per cui Dio la prometta: per il culto a Lui dovuto.
Se questo “Lui” - Dio - ormai, però non è altro che un suono senza significato - come si vede dalla totale mancanza di rispetto per la vita umana, cioè del “NON UCCIDERE”, fondamento dell’Alleanza - allora ecco che la terra diventa Dio.
Per la Terra allora un qualunque grasso individuo con la kippah in testa, può arrivare a permettersi di dire che la terra va presa, in qualunque modo.
Come nel deserto, la stanchezza di attendere news dal Dio nascosto sul Sinai, ha portato a un bel Vitello d’oro che soddisfacesse l’istinto di toccare e vedere qualcosa a proprio esclusivo consumo, oggi il Vitello
appare in forma di Terra: idolo l’uno e l’altro.

Ratzinger Opera omnia vol. XI più alcuni spunti dal Gesù di Nazaret

Il passaggio che struttura tutta l’opera è sicuramente quello drammatico che ci collega direttamente - in quanto uomini in cerca di un senso per la nostra vita, di una ‘ragione’ adeguata a viverla- alla antichissima storia di Israele. Possiamo cogliere sotteso un radicale invito a Israele a riappropriarsi del suo insostituibile ruolo storico che va ben al di là di una difesa strategica di un pezzo di terra.
A pag. 143/144 è detto: “Il Dio d’Israele che è lo stesso unico Dio, il vero Dio, il Creatore del cielo e della terra, il Dio di TUTTI i popoli e di TUTTI gli uomini, nelle cui mani è riposto il loro destino, questo Dio non vuole abbandonare a sé stessi i popoli”. Infatti: “Israele non esiste semplicemente solo per sé stesso, per vivere nelle ‘eterne’ disposizioni della Legge. Esiste per diventare la luce dei popoli: nei Salmi, come nei Libri Profetici, udiamo con sempre maggior chiarezza la promessa che la salvezza di Dio giungerà a tutti i popoli”.
L’efficace constatazione dell’autore è che, con il “fenomeno-Gesù”, non è più l’adesione alla Torah che - magari unendo tutti - forma una nuova vera famiglia, ma l’adesione a Gesù stesso, alla ‘sua’ di Torah.
(A pag. 53 Ratzinger cita quella frase di Neusner, Rabbino contemporaneo, che con il suo libro “Un rabbino interroga Gesù”, gli ha suggerito ampie riflessioni. Neusner dice: “Mi rendo conto che solo Dio può esigere da me quanto Gesù richiede”). Per questo, Gesù, il galileo, desta scandalo nei ‘devoti’ figli di David.
Gesù ha portato ormai il Dio di Israele a tutti i popoli, ha donato l’universalità, che è la grande e qualificante promessa fatta sempre ad Israele: esserci come segno e indicazione PER IL MONDO.
Ma questo che può essere riconosciuto come il contenuto ultimo della promessa fatta ad Israele, difficilmente può accadere al difuori della comunione con Gesù, “giacché l’Io di Gesù non è un Io caparbio che ruota attorno a sé stesso: la comunione con Lui è comunione filiale col Padre” (pag.145)
Questo è il ‘focus’ dello “spavento” dell’ebreo osservante, dice Ratzinger molto acutamente: la centralità della figura di Gesù che imprime una nuova direzione a TUTTO.
Tutto il seguito del volume del Papa si può considerare uno svolgimento ’pratico’ di quanto significhi concretamente adesso essere in “comunione” con questo Gesù e tramite Lui con il Dio di Israele, il Dio da tutti cercato, sia pure inconsapevolmente, sulla faccia della Terra.
“Nei racconti che precedettero. L’uscita di Israele dall’Egitto, come anche dello stesso svolgimento di essa, appaiono due differenti finalità dell’Esodo.
Una, nota a noi tutti, è quella del raggiungimento della Terra Promessa in cui Israele potrà finalmente vivere sul suo territorio, in confini sicuri, come popolo con una sua libertà ed indipendenza.
Accanto ad essa, però, compare ripetutamente l’indicazione di un altro scopo.
Il comando originario rivolto da Dio al faraone suona così: "Lascia partire il mio popolo perché possa servirmi nel deserto!" (es 7, 16)
Questa stessa frase (‘Lascia partire il mio popolo perché mi possa servire’) viene ripetuta con piccole varianti quattro volte, cioè esattamente in tutti gli incontri fra Mosè/Aronne e il faraone.
Nel corso delle trattative, lo scopo si concretizza ulteriormente. Infatti, il Faraone si dimostra propenso ad un compromesso. Per lui, nel conflitto, si tratta della libertà di culto degli israeliti, che egli inizialmente vuol concedere nella seguente forma: “Andate a sacrificare al vostro dio, ma nel paese”.
Mosè, però - secondo il comando di Dio - insiste nell’affermare che per il culto è necessario l’esodo.
Il suo luogo dovrà essere il deserto: “Andremo nel deserto, a tre giorni di cammino di qui, e sacrificheremo al nostro Dio, secondo quanto ci ordinerà”
Dopo il succedersi delle piaghe, il Faraone amplia la sua offerta di compromesso: “concede che il culto si compia secondo il volere della divinità, quindi nel deserto, ma esige che vi si rechino soltanto gli uomini, mentre donne, bambini e bestiame devono rimanere in Egitto, a casa.
In questo egli presuppone una prassi cultuale allora corrente, secondo la quale soltanto gli uomini erano protagonisti attivi del culto.
Mosè però non è tenuto dal suo Dio a negoziare la modalità del culto, non la può subordinare a compromessi.
Il culto a dio porta la sua norma soltanto in sé stesso, può essere regolato soltanto in base alla norma della Rivelazione, cioè a partire da Dio.
Respinta anche questa possibilità il Faraone estende la sua concessione: ”Partano pure anche donne e bambini, solo rimangano le vostre greggi e gli armenti”.
Mosè obietta: egli deve portare con sé anche il bestiame, poiché ”noi non sapremo quel che dovremo sacrificare al Signore finché non saremo arrivati in quel luogo”.
In tutto ciò NON SI TRATTA DELLA TERRA PROMESSA; come unico scopo dell’Esodo appare l’adorazione, che può avvenire solo secondo la norma di dio e quindi è sottratta alle regole di ogni compromesso.
Israele, se parte, non parte per essere un popolo come tutti gli altri: PARTE PER SERVIRE DIO.
La meta dell’esodo è il monte di Dio ancora sconosciuto.
Lo scopo è il servizio da rendere a Dio.
La Terra, quindi, viene data esclusivamente per garantire un luogo d’adorazione del vero Dio.
Il semplice possesso della terra, la semplice autonomia nazionale, declasserebbe Israele allo stesso livello di qualunque altro popolo.
Occorre disgiungere la questione della terra, intesa in senso geografico, dalla particolarità dell’elezione del Popolo eletto.

L’intera storia raccontata nei libri dei Giudici , come in quelli dei Re, ripresa nelle Cronache, mostra sostanzialmente questo: che la terra in quanto tale, per se stessa, è un benen indeterminato; essa diventa il vero bene , il dono di una promessa adempiuta solo se vi regna Dio; NON SEMPLICEMENTE SE LA TERRA ESISTA O MENO COME STATO AUTONOMO, MA SOLO SE E’ LO SPAZIO DI UN’OBBEDIENZA, IN CUI SI COMPIE LA VOLONTA’ DI DIO E IN QUESTO MODO SVILUPPA LA MANIERA GIUSTA DELL’ESISTENZA UMANA.
Soltanto quando Israele dopo ben tre mesi dall’uscita “arrivarono al deserto del Sinai” (Es 19,1), nel terzo giorno Dio parla al popolo nelle sue sante Dieci Parole, e comunicando così la sua volontà, stabilisce con Mosè la sua Alleanza.

Alleanza in cui viene meticolosamente regolamentato il culto: lo scopo della peregrinazione è compiuto, Israele impara a venerare Dio nel modo da Lui stesso voluto.
(…) Ebbene da quanto accaduto si rende evidente che il Sinai non è una stazione intermedia, quasi una fermata nel cammino verso la meta vera e propria, ma dona la terra interiore, senza la quale quella esteriore rimarrebbe inabitabile.
Ogni volta che Israele abbandona il giusto culto a Dio, si allontana da Dio per rivolgersi agli idoli - la potenza, la supremazia sui deboli, i valori mondani di tutti gli altri popoli - viene meno anche la libertà. Può vivere nella sua Terra e tuttavia essere ancora come in Egitto: IL SEMPLICE POSSESSO DELLA PROPRIA TERRA E DEL PROPRIO STATO PUO’ DIVENTARE UNA SCHIAVITU’ ALTRETTANTO BRUTALE.
Quando poi la PERDITA DEL DIRITTO, cioè la perdita dei diritti di ciascuno, diviene totale, ciò infine comporterà anche la perdita della Terra.
Quanto il ‘servire Dio’, la libertà del giusto culto a Dio-che di fronte al Faraone è l’unico scopo dell’uscita dal paese - sia effettivamente l’aspetto essenziale di cui si tratta nell’esodo, lo si può constatare in tutto il Pentateuco: in esso si vede  un vero e proprio ‘canone nel canone’ , il cuore della Bibbia d’Israele ed esso si svolge INTERAMENTE AL DI FUORI DELLA TERRA SANTA: SI CONCLUDE AI MARGINI DEL DESERTO, ‘AL DI LA’ DEL GIORDANO’, dove Mosè ripeterà ancora una volta, riassumendolo, il messaggio del Sinai.
Solo così si rende evidente qual è il fondamento di ogni ambizione a risiedere nella “Terra”, la condizione per poter vivere in comunità e in libertà: è lo stare nella Legge di Dio che regola nella giusta maniera le cose umane, disciplinandole a partire da Dio e in vista di Dio.”

(Vol XI Opera omnia)

“Occorre accorgersi quando si va a teologizzare una singola via politica, proprio grazie alla novità e all’ampiezza del messaggio di Gesù.
L’obbedienza di Israele ai concreti e minuziosi ordinamenti sociali della Torah è in riferimento esclusivo alla comunità genealogica dell’”Israele eterno”.
I grandi imperativi del Decalogo vanno tradotti nell’ambito della famiglia universale di Dio e che Cristo, come nuovo Mosè, ci ha donato.
In Lui vediamo adempiuta la promessa fatta a Mosè: “Il Signore Dio tuo susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a te” (Dt 18,15)
Nel discorso della Montagna, Gesù dunque riprende alcune 1questioni proprie dell’ambito della seconda tavola del decalogo CONTRAPPONENDO ad antiche disposizioni della Torah una nuova radicalità della giustizia di fronte a Dio: NON SOLO NON UCCIDERE, MA ANDARE INCONTRO AL FRATELLO CON CUI SI È IN LITE, per riconciliarsi con lui. Non più divorzi; non solo uguaglianza nel diritto (occhio per occhio, dente per dente), ma lasciarsi percuotere senza rendere il colpo; AMARE NON SOLO IL ‘PROSSIMO’, MA ANCHE IL NEMICO.
La sublimità dell’ethos che qui Cristo manifesta continuerà a sconvolgere uomini di ogni provenienza e ad impressionarli come il culmine della grandezza morale.
Ma quanto fin qui detto è realistico?
È necessario qui prendere in esame soprattutto Esodo 20, 22-23, 19.
Esiste qui il cosiddetto Codice dell’Alleanza.
In questo codice di leggi, possiamo distinguere chiaramente
Due tipi di diritto:
A) diritto casuistico: norme che regolano questioni molto concrete: disposizioni giuridiche circa il mantenimento e l’affrancamento degli schiavi, circa le lesioni fisiche a opera di uomini od animali, circa l’indennizzo in caso di furto, ecc.
Queste norme giuridiche costituiscono un diritto sviluppatosi dalla prassi e ad essa riferito.
Serve prevalentemente alla costruzione di un determinato ordinamento sociale storicamente e culturalmente determinato, nel riferimento ad un ‘epoca.
È quindi anche un diritto condizionato storicamente, senz’altro suscettibile di critica, sovente BISOGNOSO DI CRITICA.
Le disposizioni di questo genere, pur restando nel contesto fondamentale della fede nel Dio rivelatore che ha parlato sul Sinai, non sono però di diritto divino, bensì un diritto che si è sviluppato a partire dal diritto divino tenuto sullo sfondo.
È un diritto suscettibilissmo di sviluppi ulteriori e correzioni.
Prendiamo in considerazione la critica di Isaia, Osea, Amos, Michea i quali attaccano il diritto casuistico presente nella Torah, poiché - all’atto pratico - esso è diventato un’ingiustizia e non serve più alla difesa degli orfani, dei poveri e delle vedove, difesa che i Profeti giustamente consideravano lo scopo più elevato della legislazione proveniente da Dio.
Vi sono poi parti del Codice dell’Alleanza (Es 22,20; 23, 9-12) che vengono qualificate come ‘diritto apodittico’.
Questo è il diritto pronunciato nel nome stesso di dio: “NON MOLESTERAI LO STRANIERO, NÉ LO OPPRIMERAI, perché voi siete stati forestieri nel Paese d’Egitto. Non maltratterai l’orfano o la vedova” (Es 22, 20-s)
La critica dei Profeti mostra come a partire da tali norme si devono mettere in discussione consuetudini giuridiche per far valere il nocciolo essenziale e divino del diritto, quale criterio e linea d’orientamento per ogni sviluppo del diritto e per ogni ordinamento sociale.
Vi è un dialogo continuo all’interno della Torah tra norme storicamente condizionate e metanorme: queste ultime esprimono propriamente quanto è perennemente richiesto dall’Alleanza. L’opzione fondamentale dele metanorme è la GARANZIA offerta da Dio a favore dei poveri che non possono facilmente farsi giustizia da soli.
(…) Nella struttura intrinseca della torah, nella sua evoluzione mediante la critica profetica e nel messaggio di Gesù che riprende entrambe, essa trova l’ampiezza per i necessari sviluppi storici e la base stabile che GARANTISCE LA DIGNITA’ dell’uomo a partire dalla dignità di Dio”.

(Gesù di Nazaret)

 
(immagine: parco Sempione)