"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Il con-venire e il con-cordare sono di per se stessi prassi producenti un significato. Sono evidenti, in questa gamma di concetti che ruotano attorno alla nozione di sinodalità, gli influssi dell’esistenzialismo, del marxismo, dell’hegelismo e, in generale, dello storicismo prassistico, soprattutto di una ermeneutica separata dalla metafisica. Tantopiù la cosa risulta evidente (e preoccupante) se si considera che in questa sintesi di opinioni coagulatesi nel tempo si indica con sicumera la voce dello Spirito Santo, proprio come accade nel sistema hegeliano. Mons. Mario Grech, segretario dell’incipiente sinodo, ha scritto che il sinodo ha l’obiettivo “di coinvolgere il più possibile tutte le battezzate e tutti i battezzati, così da ascoltare la loro voce e da riconoscere in essa e attraverso di essa la voce dello Spirito Santo”. Poiché stiamo parlando di prassi non possiamo non notare il grande scontro tra due pretese: che nella prassi si manifesti la voce dello Spirito Santo e che tale prassi sia stata messa strumentalmente nelle mani “di un piccolo gruppo organizzatore” dalle idee omogenee e prestabilite.
Che la nuova sinodalità sia prassi risulta anche da due altre considerazioni. La prima riguarda lo stretto rapporto nel processo sinodale tra il metodo e il contenuto. Come ho già evidenziato sopra, si è deciso di cominciare a camminare anche se non si sa ancora bene, sul piano concettuale e dottrinale, cosa la sinodalità sia, quindi dove andare. Ecco, quindi, che il metodo e il contenuto coincidono. Il ritrovarsi, il parlarsi, il decidere insieme in una specie di brainstorming elitario sono già sinodalità in atto. Il metodo non è solo applicativo, ma è costitutivo della sinodalità. Il contenuto è immanente al metodo. Questo spiega anche perché la partecipazione al processo sinodale non possa avere limiti: tutti devono poter partecipare, anche gli atei o i nemici di Cristo. Se metodo e contenuto coincidono, l’atto del partecipare porta già con sé il suo senso contenutistico. La sinodalità non sarà più dei vescovi o di altre categorie interne alla Chiesa precisate di volta in volta dall’autorità ecclesiastica, ma sarà di chi vi partecipa, ciò avviene già secondo un metodo sinodale e quindi secondo un contenuto sinodale. La nuova sinodalità non sarà nemmeno più dei cristiani e, meno che meno, dei cattolici. Si tratterebbe di confinamenti che ancora pretendono che il contenuto stabilisca dei limiti al metodo, ma il modernismo filosofico e teologico pensa di aver stabilito da molto tempo e definitivamente che è vero il contrario, cioè che il metodo precede il contenuto. Per la modernità filosofica e teologica è il metodo – la prassi – a limitare il contenuto e non il contrario.

Vediamo ora la seconda considerazione sulla nuova sinodalità come prassi. Se osserviamo l’andamento dei recenti sinodi e, soprattutto, di quello sulla famiglia, dobbiamo prendere atto che i suoi effetti hanno soprattutto riguardato la prassi. Strettamente parlando, Amoris laetitia, non ha stabilito: ha alluso, non ha escluso, ma non ha stabilito. Il cambiamento della dottrina tramite la nuova sinodalità non è affidato alla dottrina, ma alla prassi. A decidere è la prassi, quello che si fa. I vescovi della regione di Buenos Aires hanno fatto, e questo ha veramente contato, nel senso di stabilire cosa si deve fare. Quello che si fa coincide con quello che si deve fare, storicisticamente (e prassisticamente) l’essere e il dover essere sono la stessa cosa. Come non vedere in tutto ciò l’influenza dei filoni più classici del modernismo filosofico e teologico che la nuova nozione di sinodalità recepisce con grande fedeltà? Veramente la nuova sinodalità “viene da molto lontano”.

Stefano  Fontana