"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Questo débout mi è quasi d’obbligo, giacché nel voler presentare al massimo del mio sforzo affettivo per il Papa, il Libro "Gesù di Nazareth" uscito per i tipi Rizzoli il 16 del mese di Aprile, ho dovuto naturalmente andare a leggermi un po’ di recensioni altrui, e cioè di persone di forte taratura intellettuale e culturale, cosa di cui io non posso assolutamente vantarmi, tanto per farmi giustamente ‘illuminare’ al riguardo.
Ebbene, siccome la presunzione in certe materie (quelle che toccano direttamente la vita e il senso che vogliamo darle) non mi manca, unitamente ad un certo sense of humour passatomi dalla frequentazione dei films di Woody Allen, oserei dire che per - non smentirsi nemmeno questa volta - Cristo si è veramente mostrato un elemento paradossale.
Un grande filosofo contemporaneo, tra l’altro esimio studioso del pensiero filosofico greco, materia da lui lungamente insegnata in Università Cattolica - in un'intervista ad Avvenire sul libro del Papa, - dimostra proprio come è facile ‘disfare’ (forse per entusiasmo o per amore?) quello che altri (in questo caso il Papa) tentano di ‘fare’.
Il noto filosofo comincia così la sua valutazione dell’opera ratzingeriana: "Giù le mani da questo libro se non hai la fede"… e più avanti "C’è una condizione necessaria per leggere e intendere il "Gesù di Nazareth": avere la fede o essere in cerca di essa!”, e ancora: "Giù le mani dal Gesù di Nazareth di Benedetto XVI per colui che non si sente nel giusto terreno. A chi non possiede la fede, Cristo non lo può spiegare nessuno, neppure il pontefice”.
Non c’è che dire: se consideriamo le statistiche, l’opera di Ratzinger in questione potrà agevolmente contare tutt’al più su una ventina di lettori, ad essere onesti! Sicuramente persino la Rizzoli è di un altro avviso riguardo certe questioni fondamentali della vita, sennò non avrebbe ‘rischiato’ il flop editoriale…
Il dramma dell’essere cristiani oggi sta tutto qui, a mio avviso: non è affatto una questione per ‘addetti ai lavori’: non è affatto vero, - come sostiene Barth a cui il filosofo di cui sopra si riferisce - che “soltanto un uomo religioso può comprendere la vita religiosa”.
Il problema ‘religioso’, cioè di un legame o meno di qualche Dio con noi e il nostro destino, è - semplicemente - IL problema per chiunque umano si definisca.
A meno di voler ammettere, là proprio dove l’intervistato fa mostra della sua sviscerata ammirazione per il Papa, che il Papa sbagli, e sbagli di grosso.
Infatti una delle più icastiche affermazioni di Ratzinger nel suo libro, suona esattamente così: "Essere uomo significa essenzialmente relazione con Dio" (pag. 157).
Si badi bene: ’essere uomo’ e NON ‘essere cristiano’.
E qui un docente di Storia della Filosofia Greca qualunque non potrebbe fare a meno di rilevare la grande professione di amore e gratitudine proprio per la ‘filosofia’ come il mondo greco classico ce l’ha trasmessa e che il Papa riconosce addirittura essere una "delle due strade (l’altra è l’Antico Testamento) che guidano a Cristo, cioè al Logos" ( Catechesi del Mercoledì; 22/3/’07). Infatti Benedetto ha della ragione umana una visione un po’ più ampia e quindi corretta di quanto non ce l’abbia Barth, il mondo protestante e i nostri docenti di fama: la ragione è innanzitutto il LOGOS.
Logos sta per ragione non semplicemente analitico-matematica come è purtroppo oggi per noi: il logos della cultura greca si è incontrato con il Logos giovanneo della nascente cultura cristiana e per questo è nato un ethos: esattamente quello che manca a noi oggi.
Il lavoro apologetico di Giustino e dei suoi contemporanei fu soprattutto (ci spiega sempre il Papa nelle sue Catechesi del mercoledì) "orientare decisamente al Logos qualunque verità filosofica, motivando dal punto di vista razionale la ‘pretesa’ di verità ed universalità della religione cristiana”. Dunque una religione, sì, ma che assolutamente non richiedeva "nessuna condizione necessaria per leggerla" come quella - secondo Reale - "di avere già la fede o essere in cerca di essa".
E adesso:


RATZINGER:
L’affermazione fatta dall’autore del “Gesù di Nazareth” a pag.157 è, secondo me , la più idonea a darci una idea sintetica ed espressiva del problema che sottende tutta l’opera: ”Essere uomo significa essenzialmente relazione con Dio”.
L’autore mette bene in evidenza tale questione fondamentale per chiunque e non solo per chi ha già la fortuna di avere una fede, quando afferma: ”Il mondo greco, la cui gioia di vivere si rivela in modo meraviglioso nell’epopea omerica, era tuttavia profondamente consapevole del fatto che il vero peccato dell’uomo, la sua minaccia più intima, è la ‘hybris’: l’autosufficienza presuntuosa in cui l’uomo eleva se stesso a divinità, vuol esser lui stesso il suo dio per essere completamente padrone della propria vita e sfruttare fino in fondo tutto ciò che essa ha da offrire”. La consapevolezza profondamente umana di ciò - sempre secondo l’autore - è svolta pienamente nel Discorso della Montagna, dove, è posto ben in evidenza che la libertà umana nel senso delle Beatitudini, non si ‘contrappone’ al nostro gusto spontaneo per la vita, “alla nostra fame e sete di vita”, ma “esige conversione, un’inversione di marcia interiore rispetto alla direzione che prenderemmo spontaneamente. E proprio grazie a questa ‘inversione’ la nostra esistenza “si dispone nel modo giusto (cit. Lettera ai Galati)”.
Tutto ciò sa di speranza concreta per il concreto uomo di oggi come per quello di ieri, esattamente SE e POICHE’ Cristo è veramente Dio.
Il passaggio che struttura tutta l’opera è sicuramente quello drammatico che ci collega direttamente - in quanto uomini in cerca di un senso alla nostra vita, di una ‘ragione’ adeguata per viverla - alla antichissima storia di Israele. Possiamo infatti dolorosamente cogliere sotteso un radicale invito a Israele a riappropriarsi del suo insostituibile ruolo storico che va ben al di là di una difesa strategica di un pezzo di terra, almeno per come io riesco a intuire.
A pag. 143/144 è detto: "Il Dio d’Israele che è lo stesso unico Dio, il vero Dio, il Creatore del cielo e della terra, il Dio di TUTTI i popoli e di TUTTI gli uomini, nelle cui mani è riposto il loro destino, questo Dio non vuole abbandonare a se stessi i popoli”. Infatti: "Israele non esiste semplicemente solo per se stesso, per vivere nelle ‘eterne’ disposizioni della Legge. Esiste per diventare la luce dei popoli: nei Salmi, come nei Libri Profetici, udiamo con sempre maggior chiarezza la promessa che la salvezza di Dio giungerà a tutti i popoli".
La efficace constatazione dell’autore è che con il "fenomeno-Gesù" non è più l’adesione alla Torah che - unendo tutti - forma una nuova vera famiglia, ma l’adesione a Gesù stesso, alla ‘sua’ Torah (a pag. 53 Ratzinger cita una frase di Neusner tra le varie che gli hanno suggerito ampie riflessioni: "Mi rendo conto che solo Dio può esigere da me quanto Gesù richiede").
Seguendo il filo logico del volume constatiamo che "Gesù ha portato il Dio di Israele ai popoli, ha donato l’universalità che è la grande e qualificante promessa per Israele e PER IL MONDO. Ma questo ha come suo unico presupposto, ORAMAI, la comunione con Gesù, giacché l’Io di Gesù non è un Io caparbio che ruota attorno a se stesso. La comunione con Lui è comunione filiale col Padre" (pag.145)
Questo è il ‘focus’ dello "spavento" dell’ebreo osservante, dice Ratzinger molto acutamente: la centralità della figura di Gesù che imprime una nuova direzione a TUTTO.
Tutto il seguito del volume del Papa si può considerare uno svolgimento ’pratico’ di quanto significhi concretamente adesso essere in “comunione” con questo Gesù e tramite Lui con il Dio da tutti cercato, sulla faccia della Terra.
In particolare mi soffermo sul concetto di ‘libertà’ che merita un po’ di meditazione più specifica e che non si può certo esaurire in poche parole, come tutto il contenuto del libro: più si riprende in mano per rileggerlo e più spalanca nuovi orizzonti.
Il Papa sembra domandarsi: "Tutto questo, ok. Ma cosa è poi successo? Perché viviamo così male se Cristo è Dio ed è venuto a compiere la promessa di cui Isarele è stato ed è tuttora il testimone storico?”
Ratzinger dice: ”La libertà a cui Cristo ci ha chiamati (e qui si apre un interessantissimo distinguo tra ‘diritto casuistico’ e ‘diritto apodittico’), nel tempo è stata interamente sottratta allo sguardo su Dio e alla comunione con Gesù. La libertà per l’universalità e, quindi, per la giusta laicità dello Stato si è trasformata in qualcosa di assolutamente profano- in “laicismo”- per il quale l’oblio di Dio e l’esclusivo orientamento verso il successo, sembrano diventati elementi costitutivi”(pag.147).
Ecco allora tornare,nel testo, il grande maestro di Ratisbona, laddove senza mezzi termini ci dice: "La ricerca della volontà di Dio, nella comunione con Gesù, resta come un segnavia per la ragione che senza di essa corre sempre il pericolo dell’offuscamento, della cecità”.
Questo il punto in cui logicamente va collocata l’acutissima ‘critica’ dell’autore a tanto modo di fare Teologia secondo la ‘visione moderna’ oggi corrente.
Questa lettura teologica della Bibbia ha portato il mondo cattolico ad assimilare inavvertitamente condizionamenti di stampo protestantico di cui nemmeno ci rendiamo ormai più conto.
L’esempio più immediato viene da quel filone di esegesi che legge il Nuovo Testamento in modo puramente ‘spirituale’, privandolo di ogni rilevanza sociale e politica. Per fare questo si è più o meno ingenuamente ‘bypassato’ il fatto che l’annuncio della signoria di Dio si fonda, come tutto il messaggio di Gesù, sostanzialmente sull’Antico Testamento. Dice Ratzinger: "se da un lato la Chiesa ha ecceduto, per certi versi, con un falso ‘legalismo’, dall’altro con il rifiuto di Mosé e dei Profeti (io stessa in Terra Santa ho udito la guida francescana contrapporre gratuitamente le ‘Beatitudini’ al ‘Decalogo’ definendole "i Dieci Comandamenti del Nuovo Testamento”!), espresso per la prima volta da Marcione nel II secolo."
L’autore si sofferma sul fatto che “non è un caso che il teologo liberale Harnack chiedesse di ‘liberare’ finalmente la cristianità dall’Antico Testamento”.
Ratzinger coraggiosamente squarcia un velo di tristezza che grava da tempo su tutti noi, cristiani o meno, e che la ’consuetudine’ ci porta a vivere come un dato ‘normale’, incontrovertibile della nostra esistenza: la certezza che la Bibbia “non parli più di un Dio vivente”, ma, anzi leggerla in quest’ottica sarebbe mero ‘fondamentalismo’: solo l’esegesi ‘scientifica’ in cui Dio non dice niente e non ha niente da dire, è al passo coi tempi”.

(immagine: Jean François Millet - Shepherd with flock of sheep in the moonlight)