"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Sulla scia di queste riflessioni , voglio condividere quelle così colme di verità di Joseph Ratzinger, estrapolate da una serie di appuntamenti radiofonici anni fa.
Il titolo di quella che riporto qui è, semplicemente:

PASQUA

Nell’anno 1984, Reiner Kunze così scriveva:


“Le campane suonavano
Come se dovessero ribaltarsi per la gioia
Dinnanzi alla tomba vuota.
Dinnanzi al fatto che una volta
Era riuscito qualcosa di tanto consolante
Che lo stupore dura da duemila anni.
Tuttavia , benché le campane
Tanto fortemente battessero questa mezzanotte
Nulla venne meno nelle tenebre”.


Cosa dovremmo fare tutti noi, in una situazione simile, una situazione che descrive così bene i nostri tempi?
Come poter veramente festeggiare la Pasqua, in questo clima di dubbio verso ogni certezza, clima nel quale tutto si considera come possibile allo stesso titolo, però nulla si considera come definitivo?
La fede cristiana nella resurrezione, ha a che fare con la ferita incisa profondamente nella nostra esistenza dalla morte, dal fatto di dover tutti morire, chi prima chi dopo, e con un Dio che ci viene incontro, un Dio nascosto, il quale, proprio nella
morte, lì, si fa riconoscere.
Ci troviamo su di un falso sentiero se riteniamo che riguardo la comprensione del messaggio pasquale il problema sia esclusivamente storico-critico, riguardante un fatto ‘del passato’.
Chi riduce il messaggio racchiuso nella Pasqua ad una constatazione di un evento accaduto una volta e chiuso in se stesso, è già fuori rotta.
Infatti a chi potrebbe interessare costruire la propria vita , il proprio presente, il proprio futuro su di un momento ormai trascorso e per tutti decisamente troppo lontano?
Sappiamo bene che tutti gli eventi empirici passano, sono legati ad un determinato momento dello sviluppo storico, ma poi, non sono più.
Anche se ciascuno di essi può lasciare traccia di sé nella storia.
Ma… che la morte è morta, questo si stacca dal processo stesso del morire e dal limite del divenire.
Questo fatto rappresenta un buco nel muro della pura transitorietà, un’ apertura che rimane per sempre aperta: non precipita semplicemente nel passato, come se ad esso fosse legata. Indubbiamente il fatto della morte della morte stessa, è accaduto una volta storicamente, ma - come ricorda san Paolo nella Lettera agli Ebrei - quella volta è stata una volta per tutte. Quella volta è stata ‘per sempre’, ma , contemporaneamente, quella volta ha aperto un ‘sempre’.
Così ciò che è avvenuto allora, è qui, adesso, e resta.
Possiamo trovare l’accesso a questo presente, a questo ‘sempre‘, e, poi, partendo da qui, dall’oggi, poter conoscere quell’unica volta accaduta nel passato, non il contrario, come tanta teologia declama.
La prima regola chiara perché questo accada proprio a noi, rendendoci presenti al presente che ha vinto la morte, è cercare i testimoni che hanno percorso con il Vincitore della morte un tratto del Suo cammino verso la morte stessa.
Camminando con Lui , infatti, si può scoprire la verità.
Un esempio è senz’altro quello offertoci da Tatjana Goričeva.
Lei aveva imparato che scopo della vita è ‘mettersi in mostra’, che la cosa fondamentale era ”essere più furbi degli altri, più capaci, più forti. Ma - un giorno deve riconoscere - nessuno mi aveva detto che, invece, nella vita, la cosa più grande non consiste nel guadagnare gli altri e vincerli, ma nell’amarli”.
Passo dopo passo lei , nell’incontro sempre più stretto con
Gesù, riconosce questa novità di approccio al reale, dal profondo di se stessa, fino a che , un giorno, semplicemente recitando il solito Padre Nostro, si accorge che “Egli esiste”.
E lo conosce non “con la mia ridicola ragione, bensì con tutto ciò che io so di essere”.
Il catecumenato dell’antichità era un accompagnare le persone proprio a questo tipo di incontro con il Risorto, conducendole, tramite la compagnia con dei testimoni, a procedere, passo dopo passo, fino all’esperienza di stare vivendo una reale esperienza di vita con Lui, e, quindi, con Dio.
Gregorio di Nissa indica un metodo per il nostro cercare. Lo fa quando commenta il misterioso passo biblico in cui si dice che
Mosè non poté vedere il volto di Dio, bensì le sue spalle.
Sappiamo che, a chi Lo interrogava sulla salvezza, sulla vita eterna, sulla possibilità di essere felici, il Signore Gesù
rispondeva: ’Vieni e seguimi’ (Lc 18,22). Ma chi segue, sta vedendo esattamente le spalle, di colui che segue. E, a Mosè che chiede di vedere Dio, e il quale non potrà che vedere le spalle del Suo ineffabile Dio, viene insegnato il solo modo in cui vedere accade: seguendo.
Seguire Dio ovunque Egli ci porta, proprio questo significa ‘vedere Dio’.
A questo cammino per ‘vedere’ finalmente Dio, ci invitano le campane pasquali. Esse continueranno sempre a sorprenderci nella notte: ma dove esse riescono a muovere il cuore, proprio là, la notte cede al mattino, cade la tenebra ed ecco, viene il giorno.
Anche oggi.
In questa promessa sta la certezza della gioia di Pasqua”.