"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Tristemente, ascoltando le parole del critico d’arte Vagner che scriveva in tempi non sospetti, par di vedere ricalcare, dai capi di oggi, il tempo andato, il tempo precedente quel Battesimo, dopo del quale, si assistette alla sorprendente ascesa della cultura della Rus’ di Kiev, permettendole di occupare, per tutto il primo mezzo secolo dalla conversione, le prime posizioni in Europa.
Impossibile non pensare, ammirando un attore da quattro soldi svendere e dilaniare la propria terra in nome di non si sa bene che, disgraziatamente con il consenso della ‘colta’ Europa, alla regressione al prima arcaico, descritto come premessa di svolta verso la ragionevolezza e la vita da quest’autore.
Da premessa ieri a realtà effettuale oggi.
Come se nulla fosse mai accaduto.
“Attorno al X secolo il paganesimo slavo, pur superato lo stadio strettamente mitologico nel quale l’uomo non si concepisce separato dalla natura e attribuisce a tutto, fenomeni e oggetti, qualità identiche a sé stesso, rimaneva chiuso in un forte empasse.
Restava configurato come un attribuire un’anima ad ogni cosa e come riconoscimento di una personificazione molteplice e diversificata nelle forze naturali, identificandole in varie divinità. Queste divinità, anche solo per la loro pluralità e per l’impossibilità di concepirle separatamente dalle forze della natura, non hanno un significato o un’identità personale.
La loro ‘personificazione’ è puramente esteriore, naturalistica, non spirituale.
Nemmeno nel pieno fiorire della civiltà greca antica, lo sviluppato antropomorfismo mitologico esprimeva divinità corrispondenti a persone, e non usciva dal campo delle forze naturali e sociali.
Va da sé che, all’interno di una simile concezione cosmologica, l’uomo non può prendere coscienza della propria personalità, maturare un’adeguata coscienza di sé, tantomeno della propria unicità.
È proprio l’indifferenziazione tra il piano materiale e quello spirituale a costituire l’essenza del paganesimo.
Intendendo qualsiasi avvenimento come sottoposto a leggi di armonia cosmica, il fattore umano non possiede una volontà propria e libera.
La coscienza umana, riflettendo una meccanicistica armonia cosmica, in realtà non ha alcuna possibilità di porre atti di scelta volontari, ma opera quasi automaticamente, o, meglio, fatalisticamente.
L’impossibilità di scegliere con atti volontari è caratteristica fondamentale della coscienza pagana, una specie cioè di atarassia epica, un’assoluta ‘tranquillità’ dello spirito.
Per la coscienza ‘epica’ tipica di questa impostazione antropologica della questione, non solo non esiste una riconosciuta drammaticità al fatto della morte, ma scompare anche il valore specifico dell’esistenza umana.
Come osservò A.A.Tacho-Godi è propria del paganesimo concepire la vita umana come una sorta di ‘palcoscenico’ sul quale gli uomini giungono non si sa da dove, e, sempre senza sapere dove, se ne vanno.
Così come erano venuti.
Tutto senza un particolare valore riconoscibile in sé per quanto accade.
La necessità, al cui interno si svolge tutto il dramma, è vista come un qualcosa di assolutamente inevitabile, involontario.
A questo tipo di impostazione sono necessariamente legati svariate conseguenze di tipo etico.
Infatti una concezione puramente naturalistica (mitologica) dell’essenza umana libera - per così dire - i giudizi morali dal bisogno di giustizia, e, a maggior ragione, da qualunque eventuale coscienza della colpa.
“I miti non trasmettono una morale”, come sosteneva M.A. Livšic.
Ma, non è solo questo: “La legge morale della coscienza si riduce, in quell’ottica, al diritto dell’arbitrio individuale della cosiddetta ‘personalità forte’.
Di conseguenza, l’obiettivo, il dovere e la virtù principale dell’eroe epico, coincidono indubbiamente con l’attuazione del proprio diritto individuale, anche a scapito del diritto di qualunque altro individuo”.
In altre parole, la pietra angolare è, in questo sistema, il puro valore in senso ‘energetico’ dell’individuo, la sua capacità di imporsi e di imporre il proprio volere, la sua violenza, non la sua coscienza. Questo porta inevitabilmente all’arbitrio.
Entrambe queste circostanze: la mancanza di un fine superiore per le proprie aspirazioni e l’arbitrio individuale libero da un ‘etica oggettiva, divennero-in epoca classica- il terreno adatto al fiorire di un epos eroico, e, più tardi, alla nascita del dramma, così come della scultura antropomorfa. Ma da questo terreno non sarebbero mai potute nascere le Confessioni di sant’Agostino, né le Areopagitiche dello Pseudo-Dionigi, né l’architettura bizantina, né l’iconografia anticorussa: cose tutte senza delle quali, non solo la cultura europea, ma nemmeno quella universale, sarebbero pensabili.

Mentre nella Rus’ si cominciava a fabbricare degli ‘Olimpi’ primitivi con idoli di legno e di pietra, la fede portata da missionari cristiani provenienti da Bisanzio, elevava gli uomini ad un’altezza mai vista (“Io ho detto , voi siete dèi, Gv 10, 34). E tutto questo mentre nella antica Kiev si compivano ancora sacrifici umani e le vittime, oltretutto, erano dei cristiani.
Mentre a Costantinopoli l’architettura e la pittura risplendevano per la loro magnificenza, nella Rus’ di Kiev, il popolo pregava in templi scoperti, circondati da fossati di terriccio.
Il Cielo in una concezione pagana, a cominciare da quella greca, certo molto più avanzata di quella della Rus’ di Kiev, era molto alto, ma tuttavia coincideva con il Cosmo.
E lo stesso Cosmo era concepito come un corpo tridimensionale, cioè materiale.
La coscienza umana, a qualunque latitudine, per quanto raffinata potesse diventare, non avrebbe mai potuto oltrepassare i confini di questa materialità che tesseva tutta l’esistenza.
In questo senso, sono fallimentari anche le teorie più o meno contemporanee che intendono raggiungere un’unità umana universale, attraverso l’edificazione di un ‘meta-mito globale’).
La coscienza ha potuto varcare e, di fatto ha varcato, i confini di questo pesante ed inerte cosmo materiale solo con l’apparire ‘imprevisto’ di significati ultimi trascendenti e, prima di tutto, di una concezione personale dell’Assoluto.
La liberazione della persona da una cieca appartenenza cosmologicamente delimitata e l’attribuzione al Cosmo stesso di una volontà propria, poté avvenire solo quando l’Incarnazione , con la sua concezione personale dell’Assoluto per cui un Dio ha potuto rivelarsi concretamente nella persona storica ed irripetibile di un uomo, Gesù, fa sì che l’appartenenza meccanicistica e materialistica di ognuno di noi al Cosmo, cioè alla Natura si infranga davanti alla autodeterminazione carica di responsabilità davanti al Divino.
Quando gli ambasciatori di Vladimir, dopo aver assistito ad una divina liturgia nella chiesa della Sofia a Costantinopoli, ne riportarono un giudizio entusiastico, testimoniarono con le loro parole uno ‘sfondamento’ verso l’alto e nella sfera del Trascendente, che stava avvenendo nella coscienza dell’uomo russo, ma anche il carattere personalistico di questo sfondamento.
I tempi della Kiev di allora erano maturi per un’intuizione dell’assoluto e della possibile unione spirituale con esso.
Come fatto che accadeva realmente tra persone, l’uomo e il Dio-uomo, ma anche tra uomo e uomo. Persone perché sapevano ascoltare, non solo violentare, parlare, non solo attaccare”.

G.K. Vagner L’arte antica russa