"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Quindici secoli dopo ben pochi potranno negare la lampante verità di questo giudizio”.
Almeno così pensava Solzenicyn, quando, nel Novembre 1973 - l’anno prima della sua espulsione dalla Patria che avrebbe rivisto solo vent’anni dopo - componeva lo scritto che segue.
Il suo invito a ‘rifiutarsi di dire almeno ciò che non pensiamo’ lanciato nel suo memorabile Vivere senza menzogna, dovrebbe riecheggiare nelle coscienze di tutti, oggi alla vigilia delle nostre ‘democratiche ‘ elezioni, oggi che - più che mai - ci occorrerebbe “trarre da sotto i massi ideologici che la opprimono, la memoria storica, seppellita da censure e falsificazioni”.
Non poteva certo presumere che avremmo risentito parlare di Ucraina, ed esattamente con ancora maggiore assenza di ‘pentimento’ ed ‘autolimitazione’, da parte di tutti.
“Il riconoscere i propri peccati non è mai facile per nessuno.
Non solo perché - evidentemente - implica un superamento dell’amor proprio, ma soprattutto perché le proprie colpe non si distinguono mai così nettamente come quelle altrui.
Prendiamo ad esempio i rapporti russo-polacchi: non si riuscirà mai a dipanare del tutto il groviglio delle reciproche colpe.
Ma seguirne lo sviluppo è istruttivo ed esemplare per tutta l’umanità.
Oggi (siamo nel 1973, n.d.r.) che polacchi e russi sono oppressi dalla stessa tirannia potrà sembrare inopportuno dedicarsi a tali disquisizioni storiche, ma lo scrivo per l’avvenire: verrà un giorno in cui l’opportunità di questo discorso diventerà palese. (corsivo mio)
Le tre partizioni della Polonia, il soffocamento delle insurrezioni del 1830 e del 1863, la russificazione: proibizione della scuola elementare polacca; nei licei, l’insegnamento della lingua polacca - materia facoltativa - impartito in russo; divieto agli studenti di parlare la loro lingua, anche a casa! Di tutte queste nostre colpe verso la Polonia, assieme alle altre che seguono, da noi in Russia si è parlato parecchio.
Aggiungo i nostri sforzi ostinati per non accordare l’indipendenza alla Polonia e l’astuzia e l’ambiguità dei nostri dirigenti negli anni 1914-1916.
È altrettanto vero però che a cominciare da Herzen, tante voci russe hanno gridato il mea culpa e che la simpatia fu unanime verso la causa polacca da parte di tutta la società colta russa.
Se gli avvenimenti successivi non hanno più evocato una tale contrizione collettiva ciò fu a causa del nostro asservimento, ma restano nella memoria di ognuno.
Ricordo la nobilissima pugnalata inferta nella schiena di una Polonia morente il 17 settembre 1939 (patto Ribbentrop-Molotov, n.d.r.); l’annientamento dell’élite polacca nei nostri campi di concentramento, e, a parte Katyn; infine, la nostra fredda, calcolata inattività sulla riva destra della Vistola, nell’agosto 1944, mentre le truppe hitleriane soffocavano sull’altra riva l’insurrezione delle forze nazionali a Varsavia, e noi si stava a guardare coi binocoli! Io ero laggiù e lo dico senza esitazione: con l’impeto che la nostra avanzata aveva allora, per noi non sarebbe affatto stato difficile attraversare la Vistola e la sorte di Varsavia, certo sarebbe stata diversa. Ma… quel che si voleva era che il lavoro sporco per distruggere i polacchi fosse compiuto dai tedeschi.
Ma, come uomini refrattari al pentimento, così esistono anche delle nazioni che vi sono restie.
Durante i secoli precedenti, la Polonia al suo apogeo, potente e sicura di sé stessa, ha invaso e oppresso la Russia non meno lungamente e violentemente.
Dal XIV al XVI secolo la Galizia e la Podolia; nel 1569, con l'Unione di Lublino, l’annessione di Polesia, Volinia, Ucraina.
(Come si vede non è attrattiva solo per il famigerato Putin…, n.d.r.)
Nel XVI secolo, la campagna russa di Stefano Athorye l’assedio di Pskov.
Alla fine del XVI secolo la repressione della rivolta cosacca di Nalivajko.
All’inizio del XVI secolo le guerre di Sigismondo II, due impostori posti sul trono russo, la presa di Smolennsk, l’occupazione temporanea di Mosca stessa; nuova invasione di Venceslao IV.
In quel frangente i polacchi arrivarono quasi a privarci della nostra indipendenza nazionale, fu un rischio non meno grave del giogo tataro, giacché i polacchi perseguitavano l’Ortodossia
E, nei territori occupati, la opprimevano sistematicamente, assoggettandola all’Unione.
A metà del XVII secolo: soffocamento della rivolta di Bogdan Chmelnitzkij e, già a metà del XVII, annientamento della rivolta contadina a Uman’.
Ebbene: si vide mai sollevarsi nella società polacca un’ondata di rimorsi, o nella letteratura polacca un’ondata qualsivoglia di pentimento?
In nessun caso.
Mai.
Persino alcune sette religiose loro dichiaratamente pacifiste, come gli Antitrinitari, o Fratelli Polacchi riformati, benché ostili ad ogni guerra in generale, mai contestarono apertamente l’assoggettamento di Ucraina e Bielorussia.
Quando noi russi attraversavamo l’epoca dei torbidi, l’espansione della Polonia a oriente era considerata dai polacchi come una politica normale e addirittura encomiabile.
I polacchi si ritenevano popolo eletto da Dio, bastione della cristianità, e si attribuivano la ‘missione’ di diffondere nella ‘barbara’ Moscovia, cioè fra i ‘semipagani’ ortodossi, il ‘vero’ cristianesimo, nonché la cultura rinascimentale delle università.
Quando poi, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la Polonia cominciò a decadere, venendo divisa e smembrata, a questo riguardo si poterono udire rimpianti e riflessioni esclusivamente d’ordine politico-istituzionale, ma mai d’ordine etico.
E, dopo aver sperimentato per più di un secolo, l’amaro destino di un paese spartito, ecco che la Polonia riceve, in base al trattato di Versailles, l’indipendenza ed un territorio non certo esiguo, ancora una volta a spese dell’Ucraina e della Bielorussia.
La sua prima iniziativa esterna consiste allora nell’attaccare con foga, nel 1920, la Russia sovietica, impadronendosi di Kiev e Morando al Mar Nero.
La Polonia attese la disfatta dei principali eserciti dei bianchi durante la Rivoluzione, per non doversi alleare, se pur indirettamente, con essi e poter poi saccheggiare e smembrare a proprio piacimento la Russia.
Lo scopo non raggiunto venne comunque compensato dalla corresponsione di un tributo.
Nel 1921 allora la Polonia si lancia nella sua seconda avventura: strappa Vilnius e tutta la sua provincia alla debole provincia Lituania.
A nulla valsero i richiami alla ragione, né nulla poté la Società delle Nazioni: la Polonia si tenne la preda sino al giorno della sua caduta.
Chi ricorda di averle mai sentito esprimere dei rimpianti al proposito?
Ricorderemo che le aggressioni furono perpetuate da un socialista, di nome Pilsudski.
Nei territori ucraino e bielorusso, annessi dopo il trattato del 1921, fu condotta una colonizzazione ad oltranza, perfino le omelie e la dottrina della Chiesa ortodossa dovevano essere in polacco.
E durante il famigerato 1937, anche dall’altro lato della frontiera, non solamente sulla nostra terra russa, venivano abbattute le chiese, purché ortodosse, più di cento, fra cui la cattedrale ortodossa di Varsavia.
Ma il pentimento non avrebbe alcun senso, da parte nostra come loro, se esauriti pianti e singhiozzi, tutto ricomincia come prima…
Il pentimento deve aprire la strada a nuovi rapporti, anche tra le nazioni!
La via del pentimento è reciproca ed è quella anche del mutuo perdono.
Ci non è colpevole?
Lo siamo tutti. Ma una buona volta si deve interrompere il computo senza fine delle colpe tra vicini, smettere di soppesarle, calcolarle, paragonarle. L’ampiezza e la durata delle offese non potrà mai pareggiarsi, lo potrà una comune, mutua contrizione.
E, come nella vita degli individui non bastano le parole a correggere il male commesso, ma ci vogliono i fatti, questo è tanto più vero tra le nazioni”.

(immagine: Mosca, 21 Luglio 1994. Ritorno a casa)