"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

È perché ci sono i migranti e dei geni in Università Cattolica (e nella Chiesa attuale) infatti che si scopre "come la religione non sia solo un bene privato, ma anche un bene pubblico".
Infatti, giacché noi "dobbiamo aprire i confini" e giacché le altre fedi nemmeno minimamente intendono mettere tra parentesi il loro credo - come invece da decenni noi sul nostro suolo europeo lavoriamo alacremente perché accada - ecco che, se il migrante reclama spazio pubblico, noi cristiani cattolici ci facciamo in quattro per difendere i diritti alla presenza nel pubblico a partire dalla fede professata.
Per far questo il decantato "pluralismo" (velo pietoso calato sull'indifferentismo professato dalle società occidentali) introduce in realtà il più puro "relativismo", come il Nuovo Ordine Mondiale esige.
E, di conseguenza, il potere del più forte come immediata conseguenza.
Infatti, dal mitico convegno del 25 settembre scorso in Cattolica, frutto di ben tre anni(!) di ricerche a livello internazionale, altro non si deduce che la necessità della messa a fuoco di quei ‘valori’ che accomunano tutte le religioni e, quindi, ne eliminano le specificità.
Siccome la religione cristiana e cattolica ha il pesante ruolo di essere la sola vera religione che può salvare l’uomo, essa ha uno specifico risvolto di responsabilità verso il resto dell’umanità non cristiana che va completamente smarrito.
Responsabilità, appunto, non prevaricazione, laddove non è per merito di nessun cristiano quello che col Battesimo viene realizzato in lui.
Ci manca Joseph Ratzinger, ci manca una parola di affetto e lucida riconoscenza per la bellezza e verità della nostra Fede, ci manca la Dominus Jesus!
Io, almeno la presentazione, la riproduco, per ripeterla a me stessa e ripetere a chiunque legga: sì, è vero Cristo e solo Cristo è lo splendore della Verità.

 

PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DOMINUS JESUS
Sala stampa Santa Sede, 5 settembre 2000

 

Nel vivace dibattito contemporaneo si fa sempre più strada l’idea che tutte le religioni siano eguali vie di salvezza.
La cosiddetta teologia pluralista si è affermata già a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, anche se solo oggi ha assunto maggior importanza per la coscienza cristiana.

Ci sono alcuni presupposti filosofici e teologici che ne stanno alla base: 

  1. la convinzione della inafferrabilità e assoluta inesprimibilità della verità divina
  2. un atteggiamento per cui ciò che è vero per alcuni potrebbe non esserlo per altri
  3. lo svuotamento metafisico del mistero dell’Incarnazione
  4. un eclettismo che assume come categorie derivate da altri sistemi filosofici e religiosi senza badare alla loro coerenza interiore né alla loro compatibilità con la fede cristiana
  5. la tendenza infine ad interpretare la sacra Scrittura senza alcun riguardo né alla Tradizione né al Magistero della Chiesa.

La conseguenza di questo modo di pensare e sentire in relazione al nucleo della fede cristiana è il rigetto dell’identificazione dell’irripetibile figura storica di Gesù di Nazareth con la realtà stessa di Dio, del Dio vivente.
Nella storia, secondo questo sentire, ci sarebbero solo dei modelli, delle figure ideali che rinviano sì al totalmente. Altro, ma che negano Dio possa veramente e pienamente rivelarsi all'interno della storia umana.
Si introduce così l'idea errata che le religioni del mondo siano "complementari" alla rivelazione cristiana.
Ritenere che vi sia nella storia una verità universale, valida e vincolante, che è diventata carne in Cristo Gesù e che viene trasmessa dalla Chiesa, viene considerato ‘fondamentalismo’ e un attacco alla moderna idea di tolleranza e libertà.
Qui però, il concetto di dialogo assume un significato che si distacca radicalmente dal concetto di dialogo del Concilio Vaticano II.
Il dialogo si trasforma in ideologia del dialogo e si sostituisce completamente alla missione e all'urgenza dell’appello alla conversione.
Tutto in fondo si riduce ad uno scambio di opinioni fondamentalmente paritetiche, relative, che hanno lo scopo massimo di creare "collaborazione" e ‘ integrazione’ tra le diverse concezioni religiose.
La posizione etica della Chiesa e della dichiarazione qua presentata per cui il principio di tolleranza quale espressione del rispetto per la libertà di coscienza di pensiero e di religione vada difeso assolutamente appartiene al credo cristiano perché prende sul serio proprio la libertà di decisione della fede.
Ma questo principio e questo rispetto per la libertà vengono oggi manipolati ed indebitamente oltrepassati quando vengono estesi anche ai "contenuti" delle varie religioni, sostenendo che "tutti i contenuti" religiosi e pure quelli delle concezioni areligiose della vita, avrebbero lo stesso valore e che non esisterebbe una verità oggettiva universale poiché tutti gli innumerevoli nomi sotto i quali si rivelano Dio e l’Assoluto sarebbero veri.
Questa falsa idea di tolleranza è connessa strettamente con la perdita e la rinuncia alla questione della verità.
Ma se non si pone la questione della verità la fede, qualunque fede, non si distingue più dalla superstizione, l’esperienza dall'illusione.
In fin dei conti, senza pretesa di verità, anche il rispetto per le altre religioni diviene contraddittorio e privo di senso, perché non esiste alcun criterio per constatare ciò che è positivo distinguendolo da ciò che è negativo o frutto di superstizione e inganno all'interno di ogni religione.
Tutto ciò che di vero e buono esiste nelle religioni non deve andare perduto, ma il bene ed il vero, ovunque si trovi, proviene dal padre ed è opera dello Spirito santo.
I semi del Logos sono sparsi ovunque.
Ma non si possono chiudere gli occhi davanti agli errori ed inganno che sono presenti nelle religioni.
La stima ed il rispetto verso le religioni e le culture del mondo porta ad un obiettivo arricchimento nella promozione della dignità umana e nello sviluppo della civiltà, ma non può sminuire l’unicità e l’originalità della rivelazione di Gesù cristo che è la via, la verità e la vita.
Questa pretesa di universalità e unicità salvifica del cristianesimo non è radicata in una presunta "preferenza" accordata ai membri della Chiesa, né tantomeno ai risultati storici da essa raggiunti nel suo pellegrinaggio terreno, ma proviene unicamente dal mistero di Cristo la cui presenza continua nella Chiesa suo corpo e sua Sposa.
Anche nell'attuale contesto segnato dalla pluralità di religioni e dall'esigenza di libertà di decisione e di pensiero, la Chiesa sa di “essere chiamata a salvare e rinnovare ogni creatura, perché tutte le cose siano ricapitolate in Cristo e gli uomini costituiscano in Lui una sola famiglia ed un solo popolo”.