"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Non si sa mai cosa dire davanti a una morte. Figuriamoci davanti a quella di una madre.
Si, c’è il tema degli acciacchi, cui una vecchiaia infinita frutto della implacabile longevità moderna ci condanna, i quali acciacchi sono sufficiente ragione per sollevare chi resta, avendone contemplato le devastazioni.
Ma perdere una mamma è sempre perdere una cosa infinita.
Qualunque teoria corrente sul bisogno di ‘autonomia’ dei figli dai genitori poggia sul nulla a cui si condanna chiunque neghi la dipendenza. Dipendenza da chi ci ha messo al mondo. Esiste un misterioso dove, posto sotto il cuore, in cui, non si sa per qual motivo, proprio a noi e non altri è stato dato di assemblare un DNA, ed è stato il ventre di una donna, inconsapevole quanto noi.
Una donna che, mentre noi, ignari, nuotavamo in quel mondo sommerso che, poi, era lei, nuotava assieme a noi trascinata da un gorgo che era stato - e lo sarà per sempre - amore.
Nulla sulla faccia della terra - nè il cambiare dei luoghi nè del tempo - puó sostituire questa danza liquida, protagonisti noi due connessi attraverso un cordone ombelicale. Una danza  che due individui danzano per nove lunghi stupefacenti mesi.
I mesi dell’onnipotenza e della più totale debolezza: una decide per l’altro ma è l’altro che le dice chi è.
Difficile spiegarlo in tempi come i nostri.
Tempi di illusioni sia ottiche che mentali.
Tempi in cui si crede di star facendo, mentre si è continuamente fatti.
Poi, la danza ha un vorticoso strappo ed ecco, di nuovo i due individui legati più che mai: un cordone ombelicale che, per essere invisibile, non cessa di essere speciale.
E specialmente concreto.
Perché averne timore?
Perché temere di amare?
Sia lei, la madre, che noi, i figli.
Perché - forse - amare vuol dire avere bisogno.
E mentre nel pancione il bisogno era vissuto e basta, ora, nel mondo, deve essere riconosciuto.
E qui cominciano i disastri.
I disastri degli amori - come scriveva un amico poeta - “che non sanno stare assieme”.
Tutta una storia dell’amore potrebbe essere scritta avendo per linea guida questo: pur volendolo, non sapere stare assieme.
Subito, appena si percepisce la dipendenza, si scatena l’odio.
Mélanie Klein ha passato una vita a guarire madri/figli ‘che non sanno stare insieme’.
Ma lo stesso Cristo era venuto proprio per questo, per permetterci di riuscire a stare assieme.
Con il nostro Destino, prima di tutto - che è Dio - e poi con i nostri amici, i nostri figli, le nostre madri, i nostri amori, insomma.
È venuto per concederci di amare senza il  timore di inevitabilmente odiare.
Ora, sì, è possibile.
Ora, in attesa che, probabilmente e dolorosamente, lo capiscano i nostri figli quando non ci saremo più noi, lo capiamo noi, nell'estate delle mamme.
Rimasti così, in mascherina e disinfettante, a guardare il cielo.

immagine: G. Previati, Madonna dei Gigli