"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

È maggio: è il mese delle rose.
Anche se - causa mutazioni climatiche - le rose vanno fiorendo già da febbraio. Maggio, tuttavia, rimane il mese d’elezione dell’immaginario poetico dinnanzi alla rinascita della natura che si manifesta con i primi fiori, le prime giornate più lunghe, un tepore soffuso.
La rosa è simbolo della Madre di Dio, in quanto primo nuovo fiore dell’anno e - quindi - immagine della prima creatura totalmente nuova, sbocciata per l’umanità dopo il lungo inverno della assenza di Dio.
A maggio si ‘celebra’ la Festa della Mamma.
Chi ha dei figli capaci di ricordarsene, potrà sentirsi collocata al centro del segreto dell’Amore.
Quando, parlando di amore, in età adolescenziale si riceveva qualche poesia o sedicente tale, composta da ‘aspiranti’, si restava facilmente perplesse.
Era l’età delle cotte epiche e degne di prodezze altrettanto epiche, da parte delle ragazze come dei ragazzi.
Tutto veniva movimentato - complici le tempeste ormonali, legittime a quell'età - da prodezze ed esperimenti di vario genere e tipo pur di colpire ed impressionare l’oggetto improvvisamente impossessatosi della nostra - ancora molto infantile - scena affettiva.
L’espediente che più colpiva - almeno me - e, ammetto, più lasciava perplessa, era quello della poesia…
Perlopiù diffusa tra i maschi innamorati, questi si scoprivano fabbricatori a ritmo semi-industriale di terzine o endecasillabi.
E - sicuramente - alcune degne di nota.
Quello che mi stupiva era un mezzo così ‘fuori dall'ordinario’, dal semplice linguaggio, per esternare i propri sentimenti.
Ed è maggio con le sue rose, a distanza di tanti e tanti anni, mentre il vuoto sembra avanzare a passi di gigante per avvolgerti definitivamente, che mi spinge a ripensare al vento poetico della gioventù ed alla sua ricchezza.
Nel Roman de la Rose, chino sulle sponde del medesimo lago su cui Narciso, oltre alla propria immagine riflessa altro non vide che il vuoto, a differenza del suo pagano predecessore, il giovane Amante ormai cristiano, ammira, anziché il nulla, una presenza altra da sé: una rosa.
Di qui tutto un narrare di questa ricerca della rosa che si pone come fase conclusiva della fantastica stagione trobadorica.
La stagione della poesia narrata e ascoltata come risorsa per colmare un vuoto.
Lo stesso vuoto che segnerà la perdizione di Narciso.
La cristianità, però, nel laghetto scopre la Rosa.
Scrivere poesia era - ed ancora lo è, lo capisco forse solo adesso innamoramento- il mezzo per scavalcare il puro spontaneismo sensorio-motorio che non potrà mai coincidere col bisogno d’amore.
Anche quando ne sarà necessaria forma espressiva.
Non potevo intuire, una volta, quanto un amore abbia più necessità di musica e di poesia che di gesti, atti.
E tutto questo, per via del Simbolico.
“Si ama perché si esiste solo identificandosi con un altro.
Un altro che esista al di là dello Specchio, della sua immagine che, vera, non è dato cogliere fissandolo in faccia, direttamente.
È questo Io - altro da me che, diventando un Ideale dell’Io, lo unifica, frena le sue pulsioni, ne fa un Soggetto.
L’Io può allora morire, per amore dell’altro, perché l’Io possa essere.
L’Amore è una messa a morte che mi fa essere” (Julia Kristeva).
Sporgendoci sul laghetto non saremo attratti dal vuoto, ma dalla Rosa. Che è donata da un differimento della sua presenza.
È qui che la musica - strumentale o poetica - si rivela come il linguaggio dell’amore dalla notte dei tempi.
È lei che esprime come l’innamoramento, evocato dalla bellezza amata, è tuttavia trasceso - cioè preceduto e guidato - dal significante Ideale.
“Sono, nel suono, al margine del mio essere ed esso mi trasporterà nel luogo dell’Altro a senso perduto, a perdita dei sensi, a perdita di vista” (Julia Kristeva).
È la necessità, urgente, impellente, assoluta di una ‘metafora’ …
Come si vede nel film “Il Postino”.
Come tutti ricordano, c’era una ragazza stupenda da conquistare e c’era un poeta, Neruda, al confino.
Che altro poteva fare il povero postino dell’isola innamorato, se non impetrare dal mago dal poeta una metafora?
Reso ostinato dal suo bisogno di identificarsi con l’Amore, non semplicemente di garantirsi un sì, il Postino ignorante ma consapevole del Simbolico che è l’unico accesso all'Altro, senza devastazioni e violenze, prima implora, poi esige una metafora.
Avendo ascoltato il poeta recitare le proprie poesie, il postino innamorato era diventato certo che lì, in quella musicalità misurata e debordante di significati, si celasse la chiave per realizzare il suo Amore.
Il postino arriva provocatorio a dichiarare:” La poesia non è di chi la fa, ma di chi gli serve”.
E così, il comunista Neruda, soccombe all'evidenza della non proprietà individualistica del segno: regala metafore al Postino.
E la ragazza è conquistata.
Pensando a volti noti più vicine, nel caos metropolitano di tutti i giorni, trovando parecchi borderlines attorno a noi - più diffusi di quanto non si creda - sempre seguendo Julia Kristeva - siamo costretti a rilevare che altro non siano se non personaggi mancanti di una metafora.
‘Mancare di una metafora’ a volte ci danneggia più di quanto - studiandole a scuola - ognuno di noi potesse immaginarsi…La metafora, ovvero la musica e la poesia, ci consentono quell'idealizzazione come spinta di identità personale capace di donarci una struttura psichica in grado veramente di relazionare col suo oggetto, e, così facendo, evitare il sintomo.
Quello somatico segno di malattia.
L’Altro, il polo della nostra significazione amorosa, è lo spazio del metaforico: in esso la pulsionalità che ambisce solo alla scarica di sé stessa, infine si libera dall'arcaico attaccamento al materno, che - pare strano - la rendeva ripiegata sul laghetto dalle vuote profondità.