"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Una normale attesa di un medico qualunque.
Poi, lì sul tavolino, casualmente abbandonata, la rivista di Psicologia.
Una lista di nomi nell'indice e tu cui cogli quello che tratta l’argomento di riferimento antropologico.
È di una laureata alla pontificia Università Gregoriana.
E, guarda caso, non fa che citare Rahner.
Rahner finisce, dunque, anche nei simposi di Psicologia.
Ma, ancor più, colpisce un titolo di questo stesso autore a cui la relatrice fa riferimento (avendo studiato alla Gregoriana... di che stupirsi?):” Introduzione al concetto di cristianesimo”, del ‘76.
Immediatamente viene alla memoria che, agli inizi degli anni ’70 Ratzinger scriveva esattamente una cosa simile, ma profondamente diversa, per via di una semplice parola in meno: ”Introduzione al cristianesimo”.
Il bisogno di introdurre il termine ‘concetto’ pone una discriminante fondamentale.
Il cristianesimo, infatti, non è un concetto: è un Fatto.
Tutta la scuola gesuitico/protestantica rahneriana è scivolata (e metà chiesa, purtroppo, con essa) su questo semplice ma tragico fatto: che il cristianesimo non è un concetto.
E non è dialetticamente argomentabile.
Esso è un a Persona.
Una Persona che vive e si incontra nella Chiesa.
Dopodiché, il va sans dire che fiumi di inchiostro e quintalate di parole ad ogni livello vengano prodotti: economico/letterario/biblico/esegetico/antropologico/etico.
Tutti, partendo dall'accettare il ‘concetto’ come accesso al cristianesimo, non possono che condurre a pure petizioni di principio.
“La bellezza di non essere un concetto”, questo potrebbe essere il titolo di un fantastico trattato sul cosmo e sulla storia.
Se i concetti ci occorrono come strumenti ineludibili per qualunque forma conoscitiva e/o argomentativa, è certo che il concetto appunto è un semplice strumento e non istituisce (Kant ha fallito) ciò che il reale è, ma, semplicemente, ci aiuta ad affrontarlo.
A maggior ragione se Cristo, il Logos è, come è, ciò che ha presieduto alla creazione del l’Universo, la ragione nascosta ma evidente di ciò che tesse la trama del reale, certamente è solo lasciandosi guidare ed afferrare da Lui che questo Universo ci può diventare familiare, comprensibile ed anche amabile.
E di Lui questo si può affermare: che Lui c’è, è qui.
Heri, hodie et semper.
Non è una nostra decisione che Lo rende presente: è una Sua scelta.
Scelta storicamente documentabile e irrevocabile.
In modo altamente drammatico, oggi, tutta questa implicazione si vede nel rischio di autodistruzione che alcuni rappresentanti della Chiesa stanno mettendo in essere attentando al celibato sacerdotale.
Quello che essa, come cattolica e romana, ha sempre professato.
Su questo il grido che sgorga ‘dal profondo del loro cuore’ del card. Sarah e del papa emerito, come si legge nel libro che uscirà a fine mese in italiano, è la parola chiarificatrice che non può lasciare indifferenti coloro che ritengono il cristianesimo non sia un ‘concetto’:
“Condizionati da mille abitudini, non percepiamo più il fatto grande, nuovo, sorprendente, che Egli stesso è presente, ci parla, si dona a noi”.
Eppure, dice sempre Ratzinger, Cristo di sé ha detto: ”Io sono la Verità, non la consuetudine”.
La ‘consuetudine’ altro non è che ragionare con i nostri concetti e le nostre credenziali di credibilità, rendendo grigio ogni splendore della Forma.
Lasciando dissacrare e rendere assurdo ogni angolo del nostro cuore, del nostro corpo, della nostra intelligenza.
La realtà invece è, prosegue il cardinal Sarah, che:
“Quando Dio penetra in una cultura, non la lascia inalterata. La destabilizza e la purifica. La trasforma e la divinizza. Per quale motivo, nelle zone più remote dell’Amazzonia, dovrebbero presentarsi maggiori difficoltà nel comprendere il celibato sacerdotale? Non dobbiamo temere che il celibato si scontri con le culture locali. Gesù ci dice: «Non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt. 10,34). Il contatto tra il Vangelo e una cultura che non lo conosce è sempre destabilizzante. Anche i Giudei e i Greci dei primi secoli sono rimasti sconcertati dal celibato per il Regno. È uno scandalo per il mondo e lo sarà sempre, perché rende presente lo scandalo della Croce.
Ma:
“Quando san Paolo esorta le giovani comunità cristiane di Efeso, di Filippi e di Colossi, non li pone di fronte a un ideale inaccessibile, ma insegna loro: «Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie. Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo - i concetti… (nota mia) - e non secondo Cristo» (Col 2,6-8)”.