"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Assuefatti ad un’ improbabile ricerca del piacere sotto mille sfumature di arzigogolamento, il fatto che esista qualcosa di semplice, evidente e percepibile senza elucubrazioni o dosi di stupefacenti, qualcosa di immediato, come il fatto di avere due polmoni e poter respirare, ci risulta sospetto.
La ‘scuola del sospetto’ non è tanto quella freudiana - che, in realtà, può essere un grandissimo alleato del vero, del bene, del bello - poiché tutta la sua architettura altro non consiste che nel farci accorti che ‘il nostro Io non è padrone in casa sua’, ovvero che i nostri problematicismi, fissazioni, egoismi, manie, non sono indizio di verità.
Afflitti dal nostro bisogno di complicare tutto e tutti, semplicemente ci ripugna che la verità ci sia e, essendoci, non sia opera nostra.
La si riscontra - la verità - anche al netto della deliberata volontà di riferirci ad essa - come condizione di base di qualunque attività, discorso, tentativo di relazionare umani.
Immediatamente, appena una rapporto, un discorso, un'attività si palesa come bella, questo è perché è vera: e, quindi, ci affliggiamo.
Ne nasce quella tristezza invincibile - sia pur mascherata talora in technicolor - che san Paolo definiva argutamente tristitia saeculi.
Ciò che ci fa tristi - in una accezione sana, cioè quella secundum Deum, ovvero secondo verità - altro non è che quel migliore del quale il fallimento positivistico ottocentesco non seppe trovare: il Freud di cui sopra.
Noi non siamo - cioè - padroni in casa nostra.
Esperienza questa, di non essere ‘padroni in casa nostra’ sperimentabile non solo quando la violenza dei corrotti ci fa cacciare dalla nostra abitazione, geograficamente intesa.
Non solo, quando una bella mattina ti mettono i sigilli sulla porta, e anni e anni di devozione alle persone che vi abitavano, vengono ricompensati con un bel calcio nel sedere.
No, noi non siamo padroni in casa nostra anche quando (magari pagandola con soldi rubati) ci godiamo una casa più che normale.
O ce ne andiamo in vacanza o a fare un figurone con i nostri figli e aficionados vari, tutti infarciti dello splendore del nostro ego ipertrofico.
Noi non siamo padroni in casa nostra semplicemente perché, quando la persona che ci sta accanto piange dal dolore, qualunque dolore, noi non sappiamo cosa dire, cosa fare.
Quando in TV ti dicono che nei casermoni occupati abusivamente ci sono padri di 25 anni con ben 5 figli in dotazione, che ammazzano il proprio figlioletto di due anni, o quando vedi che il marito ‘improvvisa’ lavori all'estero per cercare l’esotico che il cosiddetto ménage quotidiano, dopo qualche anno di matrimonio, non ti dà più, quando è impossibile accettare che una nonna veda le proprie nipotine perché l’idea di sé dei genitori è così malata da temere anche l’amore, ecco: noi non siamo padroni in casa nostra.
Piuttosto l’idea di essere abitati noi, di essere noi una sorta di casa la cui proprietà è gestita da altro, si fa strada.
E questo altro che cosa sarà mai?
E’ probabilmente qualcosa che nasce con l’essere umano stesso.
Che già nella notte dei tempi soggiogava l’uomo quanto più si illudeva di essere forte.
E’ l’accecamento di Edipo quando si accorge che era già stato tutto detto e che lui, ritenendosi libero, altro non faceva che servire il ‘già detto’.
L’autore della Lettera a Diogneto, in sostanza ci descrive nel suo story telling del nuovo fatto installatosi nel mondo beato che beato non era della koiné, cioè il cristianesimo, drammaticamente ma realisticamente prende atto solo di una cosa: che il bene, per il solo fatto di essere tale, e non frutto del nostro Io che se le taglia e se le cuce, ipertrofico e narcisistico, non può che produrre una negazione. Negazione per il gusto della negazione.
Negazione che - come l’autore serenamente sottolinea - non nasce da alcuna ragione: non c’è ragione per opporsi al bene, al vero, al bello. Semplicemente, la causa dell’opposizione, sta nel fatto di essere bene, vero, bello.
La parola - quella: ‘peccatore’_che - dilatando fino a far esplodere il freudismo in migliaia di rivoli finalizzati ad accreditare tutto ed il contrario di tutto, purché dia ‘piacere’ - è stata esautorata dalla sua funzione di vero e proprio faro, lungo la via.
Ed ecco che la via si è popolata di luci, ammiccanti e talora molto lusinghiere: soprattutto quelle rosse di tanti bassifondi.
Secondo l’autore della Lettera a Diogneto i cristiani (i quali - narrando diffusamente il loro way of life ci spiega - “non si differenziano dal resto degli uomini per il territorio, né per la lingua, né per consuetudini di vita abitando in città sia greche che barbare, come capita, pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile”), "amano tutti e da tutti sono perseguitati”.
E prosegue:
“Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori.
I giudei fanno loro la guerra ed i pagani li perseguitano.
Ma quanti li odiano, non sanno dire il motivo della loro inimicizia.
La carne (cioè la nostra natura egolatriaca, nota mia) pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima perché questa le impedirebbe di godere di piaceri esclusivamente sensuali.
Ed è così che il mondo odia coloro che, pur non lanciando ingiuria alcuna contro nessuno, solo, si oppongono al male”.
La differenza la fa un fatto.
Il fatto che “Dio  ha messo chi ama il bene, il vero, il bello, in un posto così nobile che non è lecito abbandonare”.
Ricatto e accanimento pur  sembrando non finire mai.