"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Il pensiero di Oscar davanti del compagno di carcere che verrà giustiziato come assassino della propria amata: chi ama uccide ciò che ama, si espande a tutto il mondo cosiddetto normale, quello che si pregia di collezionare amori e successi.
Oscar, per esempio, uccise la propria moglie andando a vivere con un giovane sexy e viziatissimo.
Lei - la povera moglie - gli pagava anche le spese una volta uscito dalla galera, dove ai tempi, senza se e senza ma, si sbattevano i rei di atti impuri contro natura.
Perché questo e non altro sono, in fin dei conti.
(Poi un bel dì la moglie pare si dicesse a quando si disse: ”Ma io chi sono? La tonta di turno?” E troncò il finanziamento giacché lui non troncò col suo amico).
Oscar, comunque, aspettava una redenzione perché una educazione a suo modo cristiana l’aveva pur avuta.
La Pasqua che auguro a tutti di vivere, la narro con le parole di Wilde dal Carcere di Reading.
Luogo dove gli accadde che, il 7 luglio del 1896, durante i suoi due anni di detenzione, fosse messa a morte ed impiccata una Guardia reale a cavallo, il quale aveva ceduto alla follia della gelosia ed ucciso la propria moglie.
L’attesa di questo evento, la morte di un compagno di catene, scandisce le ore ed il tempo di tutti, in quell'angusto luogo dove la giustizia umana pare decretare che nulla e nessuno vale una briciola di più del rigido codice.
Codice che - pure - per la propria sopravvivenza, una società umana deve darsi.
Lui, che non aveva ‘materialmente’ ucciso nessuno, non per questo sente meno di essere un omicida e, come tutti, si porta addosso la pena che il compagno dovrà espiare pendendo dal cappio.
Il poeta commuove per la sua consapevolezza che - da soli - non possiamo che vedere gli altri, anche coloro che amiamo, se non come schermi colorati prodotti dalle nostre fantasie e anche da quelle che - in termine tecnico - si chiamano identificazioni proiettive.
L’omosessuale - che era in lui, forse proprio per questo - comprendeva bene che è tutto così facilmente una finzione, un tentare di oltrepassare con lo sguardo le sbarre di una prigione che ci siamo creati con le nostre stesse mani, ma che il fiato spesso e impietoso della Morte ci impedisce di penetrare.
Oscar sa che il palcoscenico dei nostri amori - e quando parla della galera in cui si trova, è del palcoscenico della nostra vita quotidiana che parla - non è spesso altro che un inseguimento di fantasmi legati alle nostre paure.
Paure proprio come quelle di bambini.
L’impossibilità - di cui ci facciamo, consapevoli od inconsapevoli, complici - ad accedere al ‘mondo dei grandi’, è una catena ancora più pesante di quella di ferro con palla attaccata che ti possono mettere al piede, in un carcere di Sua Maestà.
Pasqua che aspetto e che - come da copione - arriverà anche quest’anno, è la certezza di una catena spezzata.
Se noi, ciascuno di noi, uccide sempre ciò che ama, certo c’è Qualcuno che del nostro bisogno di uccidere ha fatto invenzione di vita.
Ed è risorto.

Auguri da qui.
Dal carcere di Reading.

“I più odiosi misfatti, come erbe velenose,
prosperano nell’aria della prigione;
Proprio solo ciò che di buono v’è nell’Uomo
Solo questo, qui si disfa ed avvizzisce:
Una Livida Angoscia sovrasta il pesante cancello,
e Guardiana ne è la Disperazione.

 Ogni stretta cella in cui abitiamo
È una lercia e buia latrina.
E il fetido fiato della Morte, una Morte che vive
Blocca ogni visuale tra una sbarra e l’altra
E tutto, tranne la Lussuria, è ridotto in polvere dalla macchina dell’Umanità.

 Con una notte fonda sempre in ogni nostro cuore
Ed un crepuscolo in ogni nostra cella
Mandiamo avanti il gioco
O strattoniamo la nostra corda,
Ciascuno nel suo Inferno privato,
Ed il silenzio è più spaventosamente lontano
Del suono della bronzea campana.

 Così arrugginiamo la catena di ferro della Vita,
abietti e solitari:
E se alcuni bestemmiano, mentre altri piangono,
Altri non emettono un gemito.
Ma la Legge eterna di Dio è dolce
E spacca il cuore di pietra. 

E ogni cuore d’uomo che si spezza,
In una prigione o in un cortile,
È la medesima coppa spezzata che offrì
Il suo tesoro al Signore,
E colmò la sporca casa del lebbroso
Con il profumo del più costoso nardo

 Ah! Felici quelli il cui cuore riesce ancora a spezzarsi
E così avere pace e perdono!
In quale altro modo potrebbe l’uomo rendere rette le sue intenzioni
E infine ripulire la propria anima dal Peccato?
In che modo mai se non attraverso un cuore spezzato
Potrebbe mai il Signore entrare in noi?

 Lui - impiccato - dalla violacea e gonfia gola,
Lui dagli occhi fissi e sbarrati,
Lui attende le sante mani che portarono
Il Ladrone in Paradiso.
E il Signore, un cuore spezzato e contrito
Il Signore non disprezzerà