"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Jennie Brownscombe - Children Playing in the OrchardPiccoli ed infelici, cioè grandi

“Mi devi aiutare a non essere così infelice quando devo essere più forte di lui”.
Il ‘lui’ in questione è il diavolo.

No, non è un brano estrapolato da “Une saison à l’Enfer”.
E’ semplicemente un grido d’aiuto che lancia una piccola paziente di sei anni di Anna Freud.
Commuove pensare, non tanto che espressioni di angoscia del genere si possano trovare sulle labbra di una piccola ‘creatura indifesa e tutta immersa - data l’età - nel paese dei balocchi, ma che a noi adulti possa parere così strano.
Ci siamo infatti appropriati del diritto di essere angosciati e padroni dell’angoscia.
Per impiegarla a nostra uso e consumo: per lo più come scusa per non accettare la necessità di dover mai cambiare.
E per rovesciare ogni colpa su chi ci circonda.
Invece una piccola tenera bimbetta può e - come nel caso incontrato dalla figlia di Freud - di fatto tocca le profondità dell’angoscia, quella pura.
Ma che cosa sarà mai questo ‘diavolo’?
Il ‘diavolo’ contro la piccola combatte e - soprattutto - si accorge di stare combattendo, sono le pulsioni che normalmente tutti ci ritroviamo in carico come fagottino sulle spalle dal giorno che vediamo la luce del giocondo sole sopra di noi.
In queste ‘pulsioni’ si raggruma tutto il desiderio esplorato da secoli di poesia e di tragedia che poi altro non è che quello di asservire il reale al nostro personale comodo o piacere.
Altrettanti secoli di metafisica e saggia dottrina teologica ci hanno prevenuto e come offerto una ‘vaccinazione’ etica contro questo impeto furioso che tutto sommerge anche se all'esterno nulla appare.
Anche nella calma più atarassica che esista.
Ma oggi né la metafisica né la dottrina teologica né - quindi - tantomeno alcuna vaccinazione etica sussiste praticamente più. Solo pie esortazioni a volersi bene, a sentirsi tutti fratelli.
Nessuna persona intellettualmente onesta potrebbe sostenere la razionalità di queste esortazioni che affondano solo e soltanto nell'emotivo.
Nel ricordarci l’un o l’altro che ‘non ci piacerebbe capitassero a noi delle cose brutte, quindi dobbiamo evitare di farle agli altri’.
Di fatto nessuno, lasciato a se stesso e alla propria buona volontà può cogliere la sottile linea rossa di confine tra il fare quello che ci pare e il fare invece quello che è bene.
Il bene, anche nel caso di esortazioni tipo quella sopra è puramente finalizzato al nostro utile.
Il mistero dell’altro non ci interessa e non riveste il minimo fascino per noi ciascuno alle prese con le proprie pulsioni.
D'altronde non le abbiamo inventate né chieste noi queste benedette ‘pulsioni’, il giorno che siamo nati…
E quindi, come il fatto di avere un sesso piuttosto che un altro, un colore di occhi o di capelli piuttosto che un altro, dobbiamo farcene una ragione e conviverci.
Andare avanti.
Ma dove?
Andare avanti non si esaurisce certo nel semplice ‘andare’.
Da qualche parte dobbiamo pur scegliere di dirigerci.
A meno che altri non decida per noi.
Come, in effetti, pare molto più comodo essere.
Ma scoppia sempre l’incendio della nostra insoddisfazione.
E’ vero: siamo condannati a scegliere noi e proprio noi stessi.
Esiste un ‘diavolo’ personale che già da piccolissimi trascina verso un imbuto misto di piacere e esaltazione, davanti al quale restringiamo ogni nostro orizzonte fatto invece per l’Infinito e oltre.
Nell'imbuto di questo trascinamento a volte si affaccia una richiesta d’aiuto. Anche solo cadendo ‘malati’. O perché altri da noi colpiti dall'amore che provano per noi ci vuole estrarre dall'imbuto.
Allora nulla diventa meno doloroso che prendere a due mani la lotta che noi e solo noi possiamo fare. Paesaggi di devastazione e di morte si profilano davanti ai nostri occhi e  soprattutto al nostro cuore. Siamo disposti a tutto pur di non inoltrarci in queste lande oscene del nostro mare interiore.
Però se la fiducia nel Bello intravisto, magari negli occhi di un amico, si fa sentire, allora si può chiedere di essere aiutati a non essere troppo infelici per fare questa lotta così dispendiosa di energie personali e morali.
La moralità infatti, che esiste già nel bambino piccolo, non coincide con la semplicistica idea che un mondo tutto infarcito di mistificazioni ci vuole inculcare.
L’ordine e la disciplina fanno parte del desiderio costitutivo della persona. Sono elementi strutturali di essa.
E la moralità non fa che riaprire i confini dell’imbuto in cui il lato oscuro del nostro egoismo ci trascina continuamente.
Morale è, come dicevano i saggi filosofi medievali, il Bello.
Quello che sentiamo come nostro destino ma che continuamente commisuriamo al nostro piccolo metro egoistico di puro piacere e tornaconto. E, così, morale diventa negazione.
Invece morale, prima, molto prima di Freud, sia Sigmund che Anna, è scommessa sulla possibilità di essere quando ogni altra possibilità pare scomparsa.
In fin dei conti sarebbe questo il motivo vero ed ultimo di ogni terapia analitica.
Però diventa un ambito in cui, non credendo al diavolo, si rifugge dall'ingaggiare una vera lotta con il nostro male interiore. Si divaga in cerca di consolazioni che, tanto, nessuna terapia potrà mai dare. Si trascina tutto sul ’fidarsi’ di qualcuno che a pagamento ci aiuta tutt'al più a rimuovere. E, così, di rimozione in rimozione, la vita se ne va.
Ogni guarigione - perché ce ne sono - non ignora mai il proprio rischio di perdersi.
Così come ogni madre o amico non nega mai che il buio è buio e tu ci sei dentro assieme a loro.

 (immagine: Jennie Brownscombe - Children Playing in the Orchard)