"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

C’è un sistema di presa e lasciata biciclette ormai da anni in città.
Ma sono schierate in ranghi e parcheggi precisi, in punti della metropoli indicati dal sistema di noleggio on demand.
Queste bici, invece, intendo quelle dai cerchioni arancio, sono disseminate un po’ dovunque, senza un ordine preciso che non sia quello dell’urgenza del possessore di App, che gliene consente il prelievo e l’abbandono ovunque gli comodi.
Sarà sicuramente molto funzionale e farà perdere molto meno tempo.
Semplicemente, ti ritrovi biciclette abbandonate dovunque, nella maniera più selvaggia e caotica possibile.
Soprattutto, forse per chi si sveglia e apre le finestre dopo notti non troppo rilassanti, vedere il mezzo  a pedali accantonato senza nemmeno la dignità di essere depositato in un luogo tutto suo, per esempio un parcheggio ad hoc, mette un’infinita tristezza: ricorda troppo un trend, quello attuale generale.
Il trend del ‘passo, ti vedo, mi servi, ti uso, ti lascio ’.
E così in questo incontrarsi casuale e in questo altrettanto casuale venire abbandonati, ai miei occhi appare un po’ troppo il ritratto della nostra vita attuale.
Non è stato certamente - per fortuna - sempre così.
Me lo conferma il filmetto del 1957 che mi stavo guardando poco fa, giusto per prendere un boccone in compagnia.
C’era un pimpante Claudio Villa che si impegnava a scrollare un giovanottone innamorato perso di un’attricetta che lo disdegnava perché povero.
Lei entrava ed usciva solo su auto di lusso, condotte da uomini col ricco portafogli.
Claudio Villa - era il 1957 dicevamo, anno mitico, l’anno della mia nascita - si appella ad un argomento dissuasivo che tanto striderebbe nell’oggi delle biciclette usa e getta.
Quello dell’appello al senso del reale, al gusto per la verità.
E - proprio come chi in quell’anno ci è nato - parecchio estraneo al main stream corrente.
Villa - attore dice: ”Io l’amore lo canto in tutte le salse e in tutti colori; amore sulla luna, amore sopra i fiumi, i laghi o le montagne: ma, credimi, questo tuo non è amore”
E quando il giovane afflitto da smania amorosa gli chiede stizzito: ”E allora il mio cos’è”? placida e lapidaria piove la risposta: ”Il tuo non è amore: è fetenzìa”!
Così andavano le cose ai quei tempi.
E tutti però vivevano almeno un po’ più sereni e contenti: esisteva il bene e il male, il vero e il falso.
E la mattina presto - come oggi - se ti capitava di entrare a comperarti una pastiglia per lo stomaco in farmacia, difficilmente avresti assistito ad un dibattito esistenzial-filosofico il cui sfondo fosse il più  truce relativismo e una cupio dissolvi da lasciare basiti.
La farmacista, a lato di quella che sta servendomi, implora con toni drammatici e ad alta voce chissà chi, mentre impacchetta le medicine del suo cliente: ”Lasciatemi fumare, abbiate almeno un po’ di pietà di me!”.
Mi scappa: ”E’ perché hanno pietà di lei, che le dicono di non fumare, credo”!
Da quell’istante è tutto un susseguirsi di battute a cui involontariamente ho dato la stura stupendomi, da me stessa, di ritrovarmi a quell’ora del mattino capace di reagire con tanto senso positivo della vita…
La collega che mi serve dichiara a denti stretti: ”Ognuno fa quel che gli pare. Se vuoi fumare fuma”!
Ma la prima incalza: ”Mi hanno trovato una lastra del torace che fa orrore, ho tutti i valori sballati e il medico mi dice che non devo osare chiedere nemmeno due sigarette ogni tanto”.
Di nuovo, quella che sta servendo me: “Ognuno fa quello che gli pare. E’ tuo diritto, se anche sai che puoi morire, di fumare quanto ti pare e piace. Siamo adulti, no? E allora un adulto fa la scelta che vuole”.
Siccome - a dire il vero - quella  dal colorito decisamente marrone e dal viso, nonostante la non avanzata età, solcato da rughe profonde, pur implorando di poter fumare - pareva dichiararE, altrettanto  disperatamente, di  poter non morire, ecco che si apriva un bello scenario tragico alle otto del mattino.
Io mi impongo di dominare un infinito desiderio di prendere a ceffoni quella che mi sta servendo e che si ostina, a testa bassa, a ripetere come un mantra: ”Noi siamo liberi. Quando uno è adulto è libero. E fa quello che gli pare. Nessuno ti deve dire cosa devi o non devi fare. Un adulto fa una scelta”.
Infine esplodo.
Afferro, attraverso il bancone, la mano - gelida - della nicotino-dipendente e gliela tengo stretta.
E intanto solennemente dichiaro, saettando sguardi come folgori all’indirizzo della farmacista radical-chic: ”La scelta non vuol dire niente!! Non è un valore assoluto scegliere! Si sceglie solo quando si è liberi. Uno che sceglie di farsi del male, non è libero. E’ condizionato da angoscia e paura. Che razza di libertà è”?*
Intanto, qualche altro cliente timoroso di essere finito su Scherzi a parte, si fa servire a velocità della luce, paga, gira i tacchi e si dilegua.
La farmacista color marrone divorata dagli anni di fumo, non vorrebbe ritrarre la mano: sono io, che - un po’ imbarazzata infine - gliela lascio e le dico: ”Peccato che oltre a dirle cosa NON fare, quelli intorno a lei non le dicono quanto di altro, invece, potrebbe fare” E, così come se ci trovassimo sul lungomare di chissà dove a fare una passeggiata me ne esco con: ”Vorrei offrirle un caffè”.
La Tv poi, che sia maledetta!, rovina sempre tutto perché, al momento di uscire, mentre la poveretta abbozzando un semisorriso diceva: ”Certo, io provo a dirmi: fallo per la tua pelle, che, se non fumi, sarà più bella” e io le rispondo (ma dove la prendevo tanta sicurezza?): ”Non è per la sua pelle che lo deve fare, ma per lei, lo deve fare: perché lei vale”! mi sorprendo a pensare: ”La trasmissione dI mediaset, accidenti”!
E, una volta fuori, sono sicura che finché la TV - solo per vender se stessa - si appropria delle parole chiave della vita, chi fuma continuerà a farlo e chi vuole ammazzarsi, pure.

* Vedi bellissimo discorso del Card. Bagnasco , qui a latere, sezione “CORDULA”