"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Faticando non poco a voler gustare il caffè intanto che si doveva così vistosamente abdicare alla logica che a noi due ancora occorre per sentire ancora -appunto- il gusto di un caffè, stare seduti ad un bar e chiamarci col nostro nome, mi si è presentato davanti agli occhi l’hotel Lux!
Parlo di Mosca, anni nemmeno così lontani.
L’immagine grandeggiava di pari passo con il progressivo senso di smarrimento che invade oggi chiunque si ostini a credere che A=A e non B.
Citerò le parole di alcuni reportage di Enzo Bettiza da Mosca dei primi anni’60.
E non è che pensare al crollo del muro
come vittoria dell’Occidente sia molto consolante se accade, poi, di rilevare che il Lux, chiusi i battenti a Mosca, è come per magia trasferitosi e divenuto coincidente pressappoco al mondo intero...
“Il Lux al principio dei ludi del terrore, quando essi non pretendevano ancora alla legittimità della storia era un mondo crudele, ma semplice. L’imperio assoluto del ‘rosso O nero’, del ‘questo O quello’ che ne avevano dominato la prima epoca, si diluì in quello del ‘rosso E nero’, ‘questo E quello’.
Le leggi dell ubiquità mentale, della relatività psicologica, della simultaneità infettiva, della disponibilità permanente ad essere in ogni istante se stessi ed il contrario di sé, si impossessarono delle coscienze, polverizzandole. L’intero edificio del Lux s’impregnò di un’ambiguità liquida, serpeggiante, inafferrabile. 
Dalla semplificazione alla complicazione, dalla complicazione alla confusione totale. Furono queste le tappe del Lux verso una follia la quale, con tutte le possibili ‘autogiustificazioni’ storiche, religiose, filosofiche, aveva combattuto fino all’ultimo per evitare di essere smascherata. 
La confusione delle parti, il tutto che, tutto essendo ormai lecito, potendo appunto essere tutto, diventava il nulla, portò al suicidio gratuito e fu (è?) il duro prezzo che la verità offesa faceva (fa?) pagare ai moribondi del Lux. 
La famosa frase di Ivan Karamazov, venne per così dire ripresa e secolarizzata al Lux: le porte si spalancarono alle forme più bizzarre e svariate del non vero: filosofi più noti di nome che sani di mente si disposero a spiegare in saggi ponderosi la grandiosa fatalità collettiva obliando la miseria del singolo. 
Un sottile e difficile allenamento quotidiano per condurre progressivamente alla vanificazione del senso del reale e alla sua sostituzione con un sacrale culto della ‘realtà’.
Ma la percezione esatta di sé e di questa realtà andava (e va...) devoluta ai medici del Lux”. E Bettiza conclude:
“Non possiamo sottrarre un nostro senso di colpa per ciò che è avvenuto”.
E avviene, dobbiamo ammettere noi.